domenica 22 Settembre 2024
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Viola Ardone e … “La ricetta del cuore in subbuglio”

Scritte con un linguaggio molto diverso, hanno proprio in questo un fascino che viene mantenuto per tutto il libro. Bello soprattutto il racconto da ragazzina, con le immagini che si formano nella mente di una bambina, dove l’immaginifico trasforma la realtà in qualcosa di più reale della realtà stessa. Il linguaggio, scorrevole e corretto, non è quello letterario della storia della donna ma il parlato di tutti i giorni, quello popolare che è stato per tanti di noi la vera lingua di tutti i giorni.

Notevole il contrasto fra i due periodi storici. Nel primo, una società dove si sente ancora forte la cultura popolare, la saggezza di persone non ancora contagiate dalla società dei consumi, con solide radici nelle storie vere che solo quella cultura può dare.

Nella storia da adulta, il linguaggio letterario fa da sfondo ad una generazione che si dibatte nella vuotezza di valori, nella difficoltà di rapporti basati su una libertà falsa dove i sentimenti diventano anch’essi beni di consumo, rapidi e veloci da usare. E la fragilità e la precarietà, anche di un sentimento vero, spaventa più di una sicura sconfitta.
Da leggere soprattutto il capitolo del ritorno a Napoli della protagonista, che vive a lavora a Milano.

Il trauma di vedere la propria città natale con gli occhi del distacco, quasi del turista, così come mai era successo in precedenza, porta la protagonista ad apprezzare alcune cose ed a vederne altre che altrimenti sarebbero state solo scontate.

Mi ricorda il libro di Erri De Luca, Napolide, nel quale il distacco da Napoli viene raccontato come una perdita del diritto ad essere considerati ancora napoletani: si diventa appunto “napolidi”. Una perdita di cittadinanza dolorosa ma inevitabile, molte volte, verso una città troppo spesso non madre ma matrigna.

Brava, è il minimo che si possa dire all’autrice.

Del libro di Viola Ardone “La ricetta del cuore in subbuglio”, un altro aspetto che colpisce è il filo conduttore del libro ossia il continuo ricorso della protagonista Dafne alla geometria euclidea per cercare di dare razionalità al suo “cuore in subbuglio”. Teoremi, dimostrazioni, calcoli, serie numeriche ripetute fino alla noia, cercano di mettere ordine in una donna il cui cuore non ha alcun ordine.

Il tentativo fallisce miseramente perchè, a mio parere, non è possibile con la razionalità propria della matematica, irregimentare i sentimenti, nessun sentimento.

Si, è vero, si può provare a dare a volte una spiegazione di questi. Si può cercare di capire da quali fattori ed esperienze nascano alcuni comportamenti ma non credo, e mi sembra che questa sia la morale del libro stesso, che si possano dominare o controllare sentimenti che per loro stessa natura devono essere ribelli. Perchè un sentimento irregimentato è una costrizione non una libera scelta, è una mancanza non una ricchezza.

Da questo però ad arrivare al cuore in tumulto, alla mancanza di ogni punto di riferimento, ad aver paura della profondità e veridicità di un amore al quale si preferisce una finzione di esso che si sa essere tale, ce ne corre. E la crescita della protagonista, che mi sembra di vedere anche contro la sua stessa volontà, è l’altra faccia del “cuore in subbuglio”.

Un vero tumulto che cambierà, comunque lei faccia i suoi calcoli e le sue dimostrazioni razionali, la sua vita ed il rapporto con i suoi sentimenti. Non una sconfitta della razionalità ma un rendersi conto che ogni ambito dell’umano ha le sue regole e che non sempre tutto si può spiegare con rette, parallele, segmenti e serie aritmetiche fra le più strampalate. Forse, applicando per intero la “ricetta”, potremmo dire che Dafne ha trovato sulla sua strada un angolo. Comunque sia, un angolo rappresenta una svolta, un cambiamento di orientamento, un confrontarsi con altro che fino ad allora non era magari visibile.

Allora, in fondo, ci renderemmo conto che anche questo momento può avere una piccola rappresentazione geometrica: il colpo di coda della razionalità, a tutti i costi.

Grazie Viola.

Mauro Milani

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