Il Tempio di Nettuno di Paestum, il 20 agosto, è stato la cornice speciale per il concerto di Vinicio Capossela: Tragodie, i canti del capro. Il progetto “52 racconti”, iniziato il 26 luglio nel convento di Capaccio con Robero Angelini e Pier Cortese, è stato un vero e proprio momento di promozione culturale. Musica, storia ed enogastronomia si sono susseguiti in un crescendo di eventi di alto livello finalizzati alla ricostruzione dell’immaginario culturale ed artistico del territorio cilentano. Il percorso di “storytelling territoriale” e l’ambientazione particolarmente significativa hanno reso il concerto del Capitano Capossela un evento suggestivo e come sempre fuori da ogni logica comune. Istrionico come sempre ha “celebrato” le tragodie” mettendo in scena la rappresentazione drammatica, trapassando con musica, parole, grida, lamenti e dolore l’animo degli spettatori. Il canto umano, ispirato all’ancestralità ed al mito greco, ha creato un filo sottile ed ininterrotto tra il mondo classico ed il presente lasciando allo spettatore la volontà di sentirsi vivo in un passato lontano oppure in un presente immaginario. Capossela, trasformatosi in un philomythos, ha raccontato il pathos, con l’istinto primordiale dell’uomo, in modo selvatico ed un animo non contaminato dall’era moderna. L’invito a spegnere le luci, sul palco ed in platea, ha costituito un momento di riflessione interiore. Sulle note di “Signora Luna” e “Le pleiadi” il tempo si è fermato mettendo a tacere il “frastuono” visivo. C’erano solo loro: la luna e le pleiadi. Un momento intimistico dove il racconto è diventato personale. Ognuno ha potuto scrivere nel proprio cuore le sue emozioni abbandonando la mente e la conoscenza che “rimpicciolisce la terra”.
Nelle sue parole le debolezze umane sono poste in primo piano: “ Se è pietra la rompo, se è ferro lo piego, ma la orfana solitudine non la sopporto”. Siamo esseri immortali e come “Il polpo d’amor” gettiamo tentacoli alla ricerca di qualcuno da amare e a cui attaccare”mille ventose” per sentirci vivi. “Signora Luna che mi accompagni per tutto il mondo, puoi tu spiegarmi dov’è la strada che porta a lei?“ Non se ne adombri, Signora Luna, se non ho amato. Diglielo a ella, che solo ella, veglia per me”. Amore e solitudine vissuti con ebbrezza e pathos in un mondo dove è facile sentirsi soli e solo l’amore può farti sentire vivo. Il racconto di Capossela fatto di urla, grida, parole sussurrate e mescolate tra loro ha mostrato l’animo umano nella sua interezza con l’invito a sentirsi vivi nel dolore, con esso vivere, sopravvivere e rinnovarsi. C’è ancora la Grecia nella musica di Capossela con Le Madinades, versetti in metrica, e le ballate. Spaziando tra il sacro ed il profano, tra debolezze umane e disegni del fato incontriamo la ninfa “Calipso”, il terribile Polifemo in “Vinocolo”, la vispa “Pryntyl” ed infine sono arrivate “Le Sirene” omeriche protagoniste di un toccante finale dopo aver scacciato il satanasso con il “Ballo di San Vito” e la forza delle note.
Alessandro Stefana (chitarra), Glauco Zuppiroli (contrabbasso), Labis Xylouris ( oud, bulgari), Angelos Polychronou (percussioni), Gavino Murgia (duduk, strumenti a fiati), Peppe Frana ( lauto, lira cretese), hanno accompagnato con musica intrisa di suoni nuovi e particolari lo spettacolo rendendolo atemporale con la sola sinergia dei suoni.
Monica Pezzella
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