DA METROPOLIS DEL 1 FEBBRAIO
Somma Vesuviana. Una bambina viene aggredita in piazza da coetanei senza che nessuno si accorga di nulla, tranne i ragazzi che sono intervenuti per salvarla. Una banda di giovani rapinatori, studenti di giorno e criminali la sera, colpivano in città gettando nella paura i tabaccai. Una lite tra due conoscenti, nata per una banale discussione, che rischia di finire in tragedia con un arresto per tentato omicidio, infine una scritta indegna che campeggia da tempo sul muro di una fabbrica e che incita all’assassinio di un poliziotto e nessuno che decide di cancellarla. Una cronaca assurda, ma vera dell’ultima settimana a Somma Vesuviana. Cronaca di una città dove è soprattutto il degrado sociale a preoccupare eppure nessuno finora ha dato l’allarme. Tutti silenti, amministratori comunali, partiti politici di destra e sinistra, associazioni culturali, tutti impegnati a fare altro, ma cosa? Viene da chiederselo se alla fine dopo l’aggressione avvenuta martedì scorso in piazza Vittorio Emanuele II (il cuore della città) a finire sotto accusa non sono i piccoli bulli che hanno svestito in parte una loro compagna di classe che piangeva disperata, mimando persino degli atti sessuali, ma i giovani studenti che l’hanno salvata intervenendo e chiamando i carabinieri. Il problema sta nel fatto che i ragazzi hanno evidenziato quando sia stato grave che in piazza quel pomeriggio di martedì c’erano anche alcuni vigili urbani, ausiliari, si sono poi difesi dal comando vigili che all’appello degli studenti ad intervenire hanno risposto: “lasciateli stare sono ragazzi del Parco”. Quelli di via San Sossio, una zona “critica” della città. Da allora in molti hanno criticato chi ha sollevato “un poleverone inutile”. La parte lesa di questo brutto episodio sembrano essere gli agenti della polizia municipale e i testimoni individuati dagli uomini dell’Arma, ai quali continuano a dire di non aver visto nulla. Forse è nulla vedere una bimba di dieci anni piangere perché la strattonano, le tolgono scarpe, calze, le sfilano il maglione. Non è nulla se poi quei piccoli bulli che oggi la passano “liscia” domani diventeranno rapinatori o peggio. Come è accaduto per i giovani, due diciannovenni e due minorenni che avevano preso di mira i tabaccai di Somma Vesuviana come se fossero diventati i loro personali “bancomat”. Tutto di famiglie bene, politici, assicuratori, impiegati i loro genitori. Eppure incuranti della legge avevano deciso di darsi alle rapine “perché con gli appostamenti ci eravamo accorti che si trattava di colpi sicuri”, hanno raccontato agli inquirenti che li hanno interrogati. Agivano armati, come se minacciare un’altra persona, seppure con una pistola a salve, potesse essere meno grave per chi si trovava un’arma puntata in faccia. E poi la disgrazia che stava per capitare nel ristorante “Rincon de Goya” sabato sera, quando un 50enne che fungeva da guardia di sicurezza al locale ha sparato, al culmine di una discussione, ad un cuoco polacco per motivi davvero banali, e solo per un caso il giovane non è morto rimanendo soltanto ferito. Infine la scritta comparsa sul muro di cinta di una fabbrica in via Napoli. “10, 100, 1000 Raciti”. Campeggia lì da tempo, realizzata con uno spray rosso fuoco, un fuoco bruciante come l’indignazione di chi la legge ogni giorno senza che nessuno si decida a cancellarla. Raciti era un ispettore capo della polizia di Stato, morto in servizio durante gli incidenti scatenati da una frangia di ultras catanesi contro gli agenti intervenuti per sedare i disordini alla fine del derby di calcio Catania – Palermo. Chiunque abbia voluto infangare la sua memoria inneggiando ad altre morti simili, ha chiuso il cerchio ad una situazione di degrado in cui tutti a Somma Vesuviana, stanno voltando la testa dall’altra parte in attesa di una tragedia. Quel giorno vorremmo non dover dire, l’avevamo detto.
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