venerdì 22 Novembre 2024
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Sulle tracce di Elena Ferrante: Zaccaria e il racconto di un’indagine letteraria

I pochissimi che hanno letto questo lavoro in bozza hanno posto all’autore, al termine della lettura, la stessa domanda: perché ha messo il punto interrogativo nel titolo?

In realtà scorrendo attentamente le pagine di “Elena Ferrante, chi è costei?”, (Graus Edizioni, prefazione di Titti Marrone) appena uscito in libreria, e soffermandosi soprattutto sul secondo capitolo, dopo che nel primo c’è un riassunto di tutta la vicenda, dal giorno in cui è venuta alla ribalta, ci si ritrovano tanti indizi e tante considerazioni logiche che vien proprio da chiedersi se effettivamente quel punto interrogativo iniziale non sia superfluo.

L’anonimato, nella letteratura mondiale, è prassi consolidata. Ma mai nessuno è riuscito a preservare il segreto sulla sua identità per più di trenta anni, come è accaduto con Elena Ferrante.

Ovvio, quindi, a dispetto di quanti lo ritengono solo un banale gossip salottiero, che si sia sviluppata negli ultimi anni una sorta di caccia, anche serrata, alla scoperta del mistero. Sono scesi in campo i critici letterari più noti, ma anche importanti cattedratici, e giornalisti di fama, sono stati utilizzati persino metodi scientifici di comparazione capillare fra i testi della Ferrante e di altri autori, quasi esclusivamente appartenenti, quanto ad origine, all’area napoletana. E tutti hanno convenuto su un risultato univoco: dietro lo pseudonimo della scrittrice italiana vivente più famosa al mondo, che ha venduto milioni di copie ed è stata tradotta in decine e decine di Paesi, si cela un altro scrittore affermato, Domenico Starnone. Anche lui, ovviamente, napoletano, seppur da anni trapiantato a Roma.

Che cosa svela quindi, di nuovo, questo libro? Aggiunge alla congerie di sospetti altri particolari inediti che scaturiscono dal vissuto che accomuna l’autore a Starnone e alla misteriosa Elena Ferrante.

Lino Zaccaria, giornalista di lunga militanza, che conosce perfettamente tempi, persone e luoghi di ambientazione di “Via Gemito”, di “L’amore molesto” e della quadrilogia ferrantiana, è andato a scavare minuziosamente tra le pieghe dei romanzi di entrambi gli scrittori ed ha evidenziato circostanze, episodi, particolari, citazioni, parallelismi, esperienze, consonanze lessicali che lo hanno indotto ad una conclusione: sarebbe davvero straordinario e persino contrario alle leggi della statistica, supporre che Domenico Starnone non abbia messo mano, quanto meno, a “L’amore molesto” o alla saga di “L’amica geniale”. Ed offre al lettore molteplici argomentazioni e svariati nuovi indizi. Che poi Starnone possa essersi giovato di una “consulenza” femminile, sia anche della moglie Anita Raja (traduttrice per la casa editrice che pubblica i libri della Ferrante), già abbondantemente tirata in ballo, è più che verosimile. E nel libro vengono evidenziati anche tutti i passaggi che rafforzano l’ipotesi di questo tipo di intervento. Così come sono tratteggiate anche le svariate situazioni, presenti soprattutto in “L’amica geniale” che possono militare a favore di quanti ritengono Starnone estraneo alla saga della Ferrante. Il tutto è portato avanti con la perizia del giornalista d’inchiesta, in un’opera che si completa con un lungo reportage sui “luoghi geniali”, cioè al Rione Luzzatti, il teatro sul quale si dipana la vicenda di Lila e Lenuccia, con una documentata ricerca su tutti gli scrittori e su tutti gli artisti che sono ricorsi a pseudonimi e con un ultimo capitolo nel quale si affronta dal punto di vista tecnico-giuridico, la questione del diritto di cronaca e del corrispondente rispetto del diritto alla privacy.

Al centro restano però tutte le argomentazioni che spingono ad intravedere in Starnone il “ghostwriter” della Ferrante. Un altro tassello, insomma, sulla strada dell’identificazione del primatista mondiale di anonimato letterario. Costruito sulla base di ragionamenti logici e di testimonianze e che non vuole avere la pretesa di svelare incontestabilmente il segreto, ma che finisce con l’aggiungere, probabilmente, un’ultima formidabile prova-indizio al castello di supposizioni che si sono succedute dal giorno in cui l’allora carneade Ferrante rifiutò di andare a ritirare il premio “Elsa Morante”. Era il 1993.

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