SCISCIANO. Ribaltata, ieri, la sentenza di primo grado che aveva visto il boss Mario Fabbrocino (‘o gravunaro) condannato all’ergastolo per essere stato tra i mandanti del triplice omicidio avvenuto il 21 novembre del 1991 a Scisciano nell’ambito della faida tra i clan Cava e i Graziano di Quindici (Avellino).
Ieri mattina, i giudici della seconda Corte d’Assise d’Appello di Napoli hanno accolto la tesi difensiva (portata avanti dagli avvocati Giuseppe Annunziata e Luigi De Vita) che hanno sostenuto l’assoluta estraneità del boss vesuviano al gravissimo episodio del 91. I legali sono riusciti a dimostrare che le accuse di importanti collaboratori di giustizia, come Fiore D’Avino, Pasquale Galasso, Carmine Alfieri e lo stesso Felice Graziano fossero inattendibili perchè tutti avevano interesse a scaricare le responsabilità su Mario Fabbrocino in virtù di una sorta di alleanza – mai provata – con Biagio Cava, l’altro boss sul quale si erano appuntate le accuse dei pentiti. Molti dei collaboratori di giustizia che avevano sostenuto la partecipazione degli uomini di Fabbrocino alla strage, in appoggio ai Cava, avevano appreso queste notizie da Fiore D’Avino, una volta a capo dell’omonima cosca camorristica di Somma Vesuviana poi collaboratore di giustizia. Ma nel corso degli anni – ha sostenuto la difesa – nonostante tra i Cava e i Graziano vi fosse stata una faida feroce con più di 50 episodi gravissimi, non è mai emersa in alcuna indagine la figura di Mario Fabbrocino ‘o gravunaro. Non vi sono prove che dopo la strage Fabbrocino avesse avuto ritorsioni camorristiche o vendette per il triplice omicidio di Scisciano.
La tesi della difesa ha convinto i giudici che hanno emesso una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”. Nel 2012, dopo l’arresto e l’estradizione in Italia, il boss del vesuviano era stato condannato con rito abbreviato dal Gup del Tribunale di Napoli al carcere a vita. Nel frattempo, le attenzioni della magistratura e dei collaboratori di giustizia si erano appuntate anche su Biagio Cava al quale – ad ottobre del 2013 – furono notificati gli stessi atti d’indagine. Per la Dda lui fu il mandante di quella strage e non altri.
LA STRAGE DI SCISCIANO
La mattanza voluta dai Cava avvenne a Scisciano il 21 novembre 1991. Quel giorno una pioggia di proiettili kalashnikov uccisero in un’officina, nella frazione di Spartimento, Eugenio Graziano (trentenne che per nove giorni era stato sindaco di Quindici), il cugino Vincenzo di 22 anni, il loro guardaspalle Gaetano Santaniello, di 21.
Eugenio era diventato primo cittadino dopo che lo zio Raffaele era stato destituito su decisione del presidente della Repubblica Sandro Pertini per “gravi motivi di ordine pubblico”, accadde lo stesso poi per il giovane rampollo del clan. Vinse le elezioni dell’ 84, riportando 720 dei 723 voti assegnati alla lista civica Torre, appena 9 giorni dopo fu destituito e finì in carcere per omicidio e associazione camorristica. Su di lui la violenza dei killer si abbatté con particolare ferocia. Fu inseguito dal commando fuori dall’officina, colpito a morte e poi il suo volto reso irriconoscibile dalle raffiche di 7.62, come quattro anni dopo accadrà al padre di Biagio Cava.
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