martedì 26 Novembre 2024
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Somma Vesuviana. La piazza, il prete e l’inadeguatezza delle Istituzioni. Come si costruisce l’assuefazione all’inciviltà.

Somma Vesuviana. La messa delle 18,30 è terminata da qualche minuto. Monsignor Giuseppe Giuliano, che guida la parrocchia di San Giorgio martire da quando è scomparso l’altro Monsignore Raffaele Menzione, non sembra aver voglia di commentare il degrado che attanaglia piazza Vittorio Emanuele III. O meglio, non vuole farlo davanti ad un taccuino. “Sono da anni qui e solo ora vi accorgete di quanto accade”. Gli chiedo dell’omelia fatta la domenica precedente. Un’omelia profetica per certi versi visto che, il martedì successivo, avverrà il caso dell’episodio di bullismo ai danni di una bambina proprio nella piazza che ospita la sua parrocchia. “Io nelle omelie diffondo la parola del Signore” afferma il curato. “Ora grazie e buonasera”. Gli chiedo del tubo in rame strappato dalla palazzina che fa parte della parrocchia. “Ho provveduto io, grazie, non ho voglia di parlare”. Gli chiedo un commento sull’episodio di violenza. “Ho saputo e sono dispiaciuto per la bambina”. Alla fine vengo liquidato in quattro e quattro e quattr’otto senz’appello. In realtà però il curato ha avuto da dire eccome sulla questione del degrado in piazza. Chi ha seguito la funzione domenicale ha raccontato che don Giuseppe ha posto l’accento sulla rovina di quel luogo e sul fatto che non ci sia nessuno che rispetti le regole o che si prodighi più di tanto per farle rispettare. Inoltre, lo stesso curato, avrebbe espresso una sorta di rammarico per la solitudine in cui Istituzioni e società civile l’hanno lasciato. Fuori dalla chiesa una donna mi ferma e mi racconta un episodio che può dirla lunga sullo stato delle cose. La signora mi richiede l’anonimato e spiega di essere madre di una bambina di 8 anni che segue i corsi di catechismo della parrocchia. “In più di un’occasione la maestra del catechismo di mia figlia ha dovuto sospendere le lezioni per cacciare dall’aula i bambini della piazza che entravano a fare casino”. La serata è fredda, il cielo sofisticato. In piazza ci sono dei giovani che schiamazzano. Il pallone non c’è. A terra alcuni coperchi di quelli che una volta erano i cestini dei rifiuti. In alcuni punti della piazza le mattonelle sono spaccate. I frammenti affilati come coltelli potrebbero essere un arma. Gli anziani del circolo rintanati nella loro sede, presa di mira in più occasioni dai vandali (dai vetri rotti ad una bomba carta fatta esplodere sul ciglio dell’ingresso) giocano a tresette. Più in là, alcuni giovani si levano in piedi sulle pesanti panchine spesso divelte. Ci si aspetta, dopo quello che è successo martedì, e dopo le polemiche dei giorni seguenti, una pattuglia dei vigili urbani a sorvegliare il luogo. Niente, l’unica auto della polizia municipale fa dal guardiana al traffico all’incrocio tra via Roma e Via Aldo Moro. Piazza Vittorio Emanuele III è sola, abbandonata tra il gelo della serata ed i graffiti, sospesa tra l’essere il centro ed il vivere da periferia. Sotto gli occhi di Palazzo Torino, il palazzo del potere sommese. Potere silenzioso, inadeguato che amministra la cittadina come se fosse un condominio piuttosto che una comunità di donne, di uomini, di anziani, di bambini, di abbienti, di meno abbienti. Così non fa più nessun effetto assistere all’imbarazzante silenzio sulla vicenda dell’assessore alle politiche sociali Anna Cuomo (che tra le altre cose svolge le sue funzioni nel comune capofila dell’ambito 10. Quindi, probabilmente, la sua responsabilità è doppia). Ma l’assuefazione ed il disinteresse ha colpito tutti. L’Udc è catartico. In casa Pd, esclusi forse i consiglieri comunali, il silenzio è di casa (qualcuno potrebbe spiegare al buon Pietro Allocca che è stato eletto segretario e non bella statuina?). I volenterosi delle fabbriche di Vendola sciolti come neve al sole. Dalle associazioni del territorio nemmeno un sussulto. Oramai è come se fossimo assuefatti all’inciviltà, alla mala-educazione, all’ignoranza, alla prevaricazione del più forte, all’illegalità ed all’inefficienza diffusa.

Gaetano Di Matteo

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