venerdì 20 Settembre 2024
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Somma Vesuviana, Ciro Raia ricorda “Pascale ‘o comunista”, un uomo perbene

Soffiava un insolito vento freddo per essere un pomeriggio di metà aprile. Era un vento dell’est, le cui folate accompagnavano il corteo funebre di Pasquale Di Palma, un uomo perbene, che solo con la morte aveva riconquistato l’appartenenza a un ceppo familiare. Infatti, per moltissimi anni, egli non aveva avuto mai un cognome; era stato sempre, per tutti, soltanto Pascale ‘o comunista. Che corrispondeva all’identità di un lavoratore (muratore) onesto, di una persona con la passione per la politica, per la partecipazione attiva e con il coraggio di metterci la faccia, con la fede in un’idea valida a riscattare i diritti dei più deboli.
Pasquale era stato quello che oggi si definirebbe un veterocomunista, incardinato nella politica, quella vera, quella intesa come sacrificio, abnegazione, costruzione del futuro. Era stato segretario della sezione PCI di Somma Vesuviana, consigliere comunale e capogruppo, candidato (non eletto ma con grande successo personale, per il numero di voti riportati) alla Provincia e alla Camera dei Deputati, distributore domenicale dell’Unità, promotore di volantinaggi contro le amministrazioni comunali arroccate solo nei propri tornaconti, sostenitori di movimenti di opinione, stimolatore di aggregazioni nella locale Camera del Lavoro.
Aveva preso la tessera del PCI nel giugno del 1944, in giovanissima età. Si era dedicato, da subito, all’organizzazione delle zone periferiche. Aveva cominciato a frequentare assemblee convegni politici e sulle parole dei giovani Giorgio Amendola e Abdon Alinovi aveva sposato l’idea del comunismo, quella che –a suo parere-poteva restituire dignità all’uomo e far respirare aria di rinnovamento al paese. Nel 1954 era diventato segretario della sezione; nel 1956 era stato, per la prima volta, candidato al Comune, risultando il primo dei non eletti. Durante la sua segreteria il PCI aveva fatto scelte coraggiose e pioneristiche. Proprio nel 1956, infatti, a Somma Vesuviana, c’era stato un accordo storico tra democristiani, socialisti e comunisti. Era stato allora che Giancarlo Paietta aveva celebrato il primo centro-sinistra (quello col trattino in mezzo!) d’Italia sulle pagine dell’Unità. E Diego Del Rio, all’epoca responsabile in Federazione degli Enti Locali, alla firma del protocollo dell’anomala giunta, si era tanto entusiasmato da dichiarare che, se solo parte del programma d’intesa fosse stata realizzata, Somma Vesuviana sarebbe diventata un punto di riferimento costante, un modello da seguire e imitare nella vita politica italiana. Altri tempi! Tempi in cui agli avversari politici si concedeva l’onore delle armi, il rispetto delle idee e dei valori di cui si era portatori.
Quel laboratorio politico, purtroppo, non era durato a lungo. Il decisionismo di un sindaco perdurante, il democristiano Francesco De Siervo, non poteva sopportare il controllo continuo e puntuale di assessori di sinistra. Era, così, una politica che non pagava! Una politica che cominciava a giocare forte alla roulette del trasformismo. Molti compagni di sinistra, ideologicamente impegnati ma economicamente indigenti, venivano costretti –sempre più spesso- a cambiare sponda, pur di conquistare un posto di lavoro. Era una strada amara ma quasi obbligata. Ma non certo per uno dallo spirito ribelle e puro come Pasquale Di Palma.
Il paese, intanto, a metà del secolo scorso, andava avanti tra stenti e privazioni. Alcune opere (anche importanti) venivano messe in cantiere ma erano sempre gestite dalle conventicole; il buco della discarica sul monte Somma si allargava sempre di più; i comunisti continuavano ad essere “quelli che mangiano i bambini”; la gente era combattuta dalla voglia di esporsi e dalla esigenza di poter lavorare solo se in odore di sacrestia. I santi e le madonne potevano più delle richieste di giustizia, di equità sociale e di rispetto dei diritti. “Addavenì baffone!” era un’ironica minaccia, talvolta, anche di sapore blasfemo.
Era passato anche per altre esperienze progressiste Pasquale Di Palma. Come la giunta di sinistra (agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso), con socialisti e socialdemocratici, capeggiata dall’ingegnere Antonio D’Ambrosio. Una chimera! Di nuovo il trasformismo aveva trionfato, affidandosi a qualche transfuga o prezzolato.
Dopo gli anni ’70, il PCI era ritornato all’opposizione. Allora era un PCI che andava forte nelle consultazioni politiche ma che non riscuoteva gli stessi successi nelle competizioni amministrative. Pasquale si dava da fare, si sbracciava, cercava il confronto, cercava di coinvolgere i giovani. Durante le campagne elettorali (quelle che richiamavano le folle e i partiti a contendersi la piazza grande del paese), senza i grossi fasti della politica spettacolo di un imminente futuro, Pasquale Di Palma era capace di coinvolgere uomini dalla statura di Maurizio Valenzi e Gerardo Chiaromonte, Egizio Sandomenico e Giorgio Napolitano. Egli stesso, d’altra parte, -il muratore dalle mani sporche di calcina- era diventato un buon oratore; perché era uno che sapeva parlare al cuore della gente, uno che conosceva i problemi quotidiani, uno che cercava di dare una mano concreta a tutti quanti soffrivano di disagio sociale, economico, culturale. E sempre senza ritorni personali. Aveva letto i classici del pensiero marxista Pasquale, con sacrificio, di notte, senza mai nulla togliere al lavoro -che gli spaccava la schiena- e all’impegno politico nella sezione o tra gli scranni del consiglio comunale.
Qualche volta che sono stato a casa sua, Pasquale mi riceveva in una stanza zeppa di pubblicazioni “di sinistra”, di testi di Gramsci e Togliatti, di storie del PCI di Spriano, di ritagli di Rinascita e Unità. In un incontro di alcuni anni fa, di quando il PCI era ancora PCI e non altro, Pasquale mi aveva confidato di avere due grandi speranze: “Una, è anche una preoccupazione interna al PCI. Spero in un partito che non si dissangui nelle divisioni e riesca a costruire una grande forza di sinistra. L’altra è legata a Somma Vesuviana. Ed è che una nuova classe dirigente, seria, onesta e preparata rimuova la fiducia della gente e garantisca parametri di convivenza, rispetto dei diritti e dei doveri, sviluppo economico e culturale”.
Recentemente, quando è venuto a mancare qualche personaggio locale, qualcuno che ha avuto, nel bene e nel male, in politica, nell’imprenditoria o in altri ambiti, ruoli di preminenza, solitamente c’è stato chi ha ripetuto: “se ne è andato un pezzo di storia del paese!”. Un modo di dire stucchevole. È vero, la morte rende tutti uguali ed ai morti bisogna portare rispetto. Ma ciò che si è stati in vita non può essere dimenticato con la morte. La propria storia, il proprio impegno fa la differenza. È come quando si dice che tutti i caduti nella guerra di Liberazione sono uguali. E non è vero, perché molti caddero per conquistare la libertà al paese, altri per negarla quella stessa libertà!
Oggi, con la dipartita di Pasquale Di Palma se ne è veramente andato un pezzo di storia del paese. Di un paese che, uscito dalle macerie della guerra, aveva cercato di ricostruirsi, di darsi un’anima, di inventarsi un futuro. Di un paese che aveva dovuto confrontarsi con vecchie logiche di potere, con manfrine elettorali, con furbizie da preti, con manie di grandezze non rapportate alla propria economia, con sogni da dio e pensieri da mendicanti.
Pasquale se ne è andato, come suo solito, in punta di piedi, con discrezione; dopo aver combattuto, per settant’anni e più, ingiustizie e iniquità; dopo essersi battuto, per settant’anni e più, per l’affermazione dei diritti di tutti, per la spinta alla partecipazione, per il trionfo della democrazia, per il rispetto delle leggi, per il primato della cultura, per una scuola laica, per la parità delle donne, per il rispetto per gli anziani, gli animali, l’ambiente, gli indigenti…
Sarà, forse, anche per questo che soffiava un insolito vento freddo per essere un pomeriggio di metà aprile, quando una folla commossa ha salutato, per l’ultima volta, Pasquale Di Palma. Era un vento dell’est –quasi un messaggero dell’aldilà- che voleva accompagnare e traghettare nel mondo ultraterreno un vecchio compagno, un indomito ultimo comunista, un combattente di razza e di cuore.
Ciao, Pasquale.

Ciro Raia

Ciro Raia

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