venerdì 20 Settembre 2024
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Sant’Anastasia. Ecco il giorno dei battenti, tra riti e tradizione

Sant’Anastasia. “Pa’ Maronn e l’Arc” e poi una serie di fuochi. Con questo inno, in tanti sono stati svegliati alle prime luci dell’alba, in quasi tutto il circondario vesuviano, per uno dei giorni che da sempre viene ricordano per il giorno dei fujenti (fuggenti), dei devoti alla Madonna e di quanti celebrano uno dei riti più antichi della Campania. Oltre 200 mila persone da ogni parte della città e della provincia si recheranno nella giornata di oggi in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Arco. Quello che però colpisce di più in questo giorno di pasquetta oltre l’infinita devozione e il folklore che ne fa da cornice, ma è la partecipazione di numerosissimi gruppi di “battenti” o “fujenti” di ambo i sessi che vestiti di bianco con fasce rosse alla vita e azzurre a tracolla, preceduti dalla banda musicale, bandiere e stendardi delle associazioni cattoliche portano a spalla la statua della Madonna, arrivando al santuario scalzi dopo molte ore di cammino. Ore e ore di cammino, per le strade del vesuviano, dove in ogni rione (quelli più affezionati e tradizionalmente legati al culto) una piccola celebrazione a ritmo di culto ha visto i battenti ricelebrare allo stesso modo, ma con uno spirito diverso, la cerimonia di inchino, sbandieramento dello stendardo e batteria di fuochi. Ma da dove nasce questa tradizione?
La tradizione risale al 1450, quando nella contrada vesuviana si svolgeva una sagra popolare. Due giovani si divertivano a far andare più lontano la palla di legno colpendola con una mazza. Nel gioco, la boccia di uno dei due andò a colpire un albero di tiglio che sorgeva presso un’edicola votiva, facendogli perdere la scommessa. Il dilettante, accecato dall’ira, bestemmiando scagliò la boccia contro il tempietto ad arco, colpendo la guancia sinistra della Madonna. L’immagine cominciò a sanguinare. La gente – come riportato nei documenti del Santuario di Madonna dell’Arco – si gettò sul sacrilego per linciarlo, quando si trovò a passare il Conte di Sarno, Raimondo Orsini, Gran Giustiziere del Regno di Napoli, che fece liberare il malcapitato, ma costatato il prodigio, dopo un processo sommario, decise di far impiccare il giovane allo stesso albero di tiglio che aveva fermato la boccia. Dopo ventiquattr’ore l’albero seccò.
Il pellegrinaggio dai vicoli di Napoli al luogo di culto ripete un rituale di gesti e di comportamenti che gli antropologi assicurano essere del tutto simile a quello di cinque secoli fa. La preparazione dei “fujenti” con in mano un fazzoletto bianco per la questua incomincia un mese prima del lunedì dopo Pasqua.
Le prove sono estenuanti: innanzi tutto la “caduta” e poi l’abito con i canti e la Madonna sul baldacchino portato in giro per la città. La “caduta” in chiesa ai piedi dell’altare che richiama cineoperatori e fotografi da tutto il mondo, avviene in un clima di eccitazione parossistica e che, in moltissimi casi, esplode con manifestazioni sconcertanti di epilessia e di morte apparente. Prostrarsi alla Madonna è il momento critico del “fujente”, quando il capo paranza impartisce l’ordine con il fischietto, il fedele si lancia faccia a terra e vi rimane, fino a quando non riceve l’ordine di rialzarsi. Poi carponi raggiunge l’altare in segno di ringraziamento.
Insomma una tradizione, che si aggiunge alle altre, che ormai contraddistinguono la nostra terra, regalando uno scenario fatto di riscoperta di valori e di culti a volte dimenticati, ma da segnalare è anche una parte di credenti che prendono le distanze da questa festa,ed in modo particolare da quelli che sono “gli svenimenti2 che spesso accompagnano alcune cerimonie in giro nel vesuviano. C’è chi addirittura arriva a sostenere che in tanti frequentano scuole per imparare a sentirsi male durante questi riti. Quello che forse più di tutti però può aiutare a credere o meno, è la fede che ognuno di no sente e vive nel proprio io. Buona Pasquetta a tutti.

Giovanna Salvati

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