I ragazzi Africani immigrati dalla Libia che risiedono all’hotel Valleverde, ieri mattina, in occasione della consueta processione del 14 gennaio per la festa del Santo Patrono, hanno portato a spalla la statua di San Felice in Pincis.
Dopo la guerra in Libia, circa 25.000 Africani sono arrivati sulle coste italiane, il ministero dell’interno li ha dislocati su tutto il territorio nazionale presso alberghi convenzionati in attesa del rilascio del visto di rifugiato o dell’eventuale rimpatrio. Cinquantadue di questi sono a Pomigliano da Agosto. La splendida opera di integrazione con il tessuto sociale della città è in continuo divenire, fatta di tante piccole iniziative organizzate da parrocchie, associazioni e semplici cittadini.
Un mosaico a cui ogni giorno decine di persone aggiungono il loro piccolo tassello. E’ un’intera comunità che si sta stringendo intorno a loro: ci sono volontari (semplici cittadini) che dal loro arrivo non hanno mai più lasciato il “Valleverde”. Dai beni di prima necessità, all’assistenza sanitaria, alle feste dove si cucina e si balla come in Africa, loro ci sono sempre.
Ma è fuori dall’hotel che si compie il miracolo. Basta fare un giro a Pomigliano per scoprire quanto questa città abbia accolto a braccia aperte i migranti: coetanei che gli offrono il caffè, si fanno dare dritte per le scommesse di calcio e tifano il Napoli insieme, i ragazzini di pratola ponte che li aspettano ogni pomeriggio per giocare a pallone, altri che gli prestano il cellulare.
A ben guardare l’onore di portare a spalla il santo patrono (iniziativa promossa dal Parroco della chiesa di San Felice Giuseppe Gambardella) non rappresenta soltanto l’ennesima iniziativa per favorire la loro integrazione, bensì un sincero ringraziamento per quello che questi rifugiati stanno trasmettendo alla comunità cittadina, l’occasione di crescita collettiva che gli stanno offrendo. Chiunque seguendo la loro vicenda ne resta inevitabilmente travolto: la loro correttezza, i loro forti valori, la socievolezza, le drammatiche storie personali, abbattono di colpo anche i più solidi steccati di pregiudizio e trasformano “la sterile” solidarietà per i bisognosi, in aiuto fraterno e vicinanza amorevole. C’è chi già parla di un “modello Pomigliano” per l’integrazione.
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