NAPOLI. Riapre al pubblico la collezione Magna Grecia del MANN, dall’11 luglio, dopo oltre 20 anni, nuovamente visibili 400 reperti. Al via il racconto dell’integrazione culturale nell’Italia meridionale magnogreca
Un silenzio lungo oltre vent’anni ed una dedica al professor Enzo Lippolis (Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità/Università “La Sapienza” di Roma, scomparso prematuramente nel 2018), che ha costruito un particolare progetto allestitivo per raccontare le radici storiche della cultura dell’Italia meridionale: ha riaperto giovedì 11 luglio, la collezione Magna Grecia del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Chiusa dal 1996, la collezione, per ricchezza ed antichità del patrimonio archeologico (i reperti, dal Settecento ai primi decenni del Novecento, furono convogliati nell’allora Real Museo Borbonico tramite acquisti e donazioni) rappresenta un unicum nel panorama museale internazionale: oltre 400 opere, infatti, testimoniano le caratteristiche insediative, le strutture sociopolitiche, il retroterra religioso ed artistico nella Campania di epoca preromana. Diversi nuclei tematici, dunque, con un significativo filo conduttore: la complessità della coesistenza tra le comunità radicate nel Sud della penisola.
“Restituiamo oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli una parte fondamentale della sua identità – dichiara il Direttore Paolo Giulierini – il riallestimento dopo 20 anni della collezione Magna Grecia, tra le più ricche e celebri al mondo, è l’esito di un vasto piano di interventi per il riassetto dell’ala occidentale dell’edificio destinata ad accogliere le testimonianze dell’epoca preromana. Nelle sale del primo piano che ospitano il percorso espositivo, un’esperienza unica attende il visitatore, che potrà letteralmente ‘passeggiare nella storia’. Lo farà camminando, con le opportune precauzioni, sui magnifici pavimenti a mosaico provenienti da Villa dei Papiri di Ercolano, da edifici di Pompei, Stabiae, dalla villa imperiale di Capri, finalmente recuperati e riportanti alla loro magnificenza. La storia dei greci in Occidente, e quella dei popoli italici con i quali vennero a contatto, torna quindi a passare per il MANN, e mi piace immaginare questa ‘nuova’ sezione come un affascinante ‘portale della conoscenza’ che da Napoli conduca, e sempre più invogli, alla scoperta degli antichi tesori del Mezzogiorno d’Italia’’.
In un viaggio a ritroso nella storia, dall’VIII sec. a. C. sino alla conquista romana, è così ricostruito il suggestivo mosaico che definì l’identità culturale della Magna Grecia: si parte con alcune sepolture da Pithekoussai (Ischia) e Cuma (databili tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del VII sec. a. C.) per testimoniare le fasi più remote della “colonizzazione” greca del Sud Italia; gli oggetti, che facevano parte dei corredi funebri, rappresentano una prima modalità per definire la convivenza, quasi ante litteram, fra indigeni e greci in Campania.
Procedendo nelle due sale successive, si descrive l’universo mitico e religioso delle città della Magna Grecia: grazie a particolari forme di architettura sacra, capaci di rispondere ad esigenze rituali e sistemi votivi, si comprende quanto la cultura magnogreca sia stata segnata dai grandi fenomeni migratori. Tra i capolavori presentati ai visitatori spiccano la suggestiva e coloratissima opera d’arte del fregio in terracotta con lotta tra Eracle e il mostro marino Nereo e le Tavole di Eraclea.
Si tratta di una grandiosa iscrizione (rinvenuta nel 1732), che segnò una tappa fondamentale nella scoperta della Magna Grecia, affascinando il Settecento riformatore e illuminista per aver fissato nel bronzo il dettagliato resoconto dei lavori pubblici legati al riordino di alcuni terreni di proprietà religiosa.
Nella terza sala, si affronta il tema del significato ideologico del banchetto, tra dimensione individuale e sociale, nella cultura greca e magnogreca di epoca arcaica e classica. È ricostruito, così, un convivio tra VI e V sec. a.C.: i vasi attici figurati riflettono un rituale consolidato per cui ogni recipiente (crateri, anfore, coppe, vasellame in bronzo) assumeva una funzione specifica.
Continuando questo progressivo viaggio nel tempo, si passa all’analisi dell’affermazione delle popolazioni di origine italica (campani, sanniti, lucani e apuli) nell’Italia meridionale: furono queste popolazioni che, negli ultimi decenni del V sec. a.C., si sostituirono ai greci nell’amministrazione delle città più importanti, definendo nuove forme di organizzazione sociale per esprimere un mutato retroterra ideologico e culturale. Significativo, in tal senso, il consistente nucleo di materiali provenienti da Ruvo, Canosa e Paestum: ancora una volta, dal rituale funerario, si evincono i cambiamenti intercorsi in una comunità che diviene fortemente gerarchizzata. Spiccano, nella collezione, le celebri lastre dipinte rinvenute nella Tomba delle Danzatrici, scoperta a Ruvo il 15 novembre 1833: la scena di danza funebre, che si snoda sulle pareti della tomba (datazione tra fine del V e inizi del IV sec. a.C), costituisce a tutt’oggi una delle più alte attestazioni della pittura antica nel Sud Italia. Ancora, tra i maggiori acquisti che il governo borbonico riuscì ad assicurare al Museo, spiccano le coppie di frontali e pettorali per cavalli, provenienti da una sepoltura ruvestina di un cavaliere di rango principesco, così come i due crateri a mascheroni apuli dall’Ipogeo del Vaso di Dario di Canosa, vasi colossali la cui unica funzione doveva essere quella di costosissimi status symbol.
Raffinate testimonianze della moda del tempo sono le oreficerie esposte nella sala CXXXV: collane, bracciali, orecchini e altri gioielli documentano così i preziosi ornamenti indossati per ostentare la propria appartenenza sociale. In questa stessa sala, si trova lo straordinario Cratere di Altamura (metà IV sec. a.C.), uno dei più monumentali vasi apuli pervenuti dall’antichità. L’opera, recentemente restaurata dallo staff del Getty Museum, è decorata da una rara ed emblematica raffigurazione del mondo degli Inferi con la dimora di Ade e Persefone, insieme a numerosi personaggi mitologici legati all’aldilà.
La collezione Magna Grecia trova il suo culmine ideale nello sguardo proteso alla Campania interna e ai contesti più significativi da Nola a Cales (l’odierna Calvi Risorta nel casertano): a partire dal I millennio a.C. tali aree rappresentarono, per configurazione morfologica, uno snodo nevralgico per connettere Italia centrale e meridionale, così come costa tirrenica, fascia appenninica e versante adriatico della penisola. Tra le opere inserite nel percorso espositivo, basti ricordare l’Hydria Vivenzio, uno dei vasi più celebri che il mondo antico ci abbia restituito. Acquistata nel 1818 per l’allora incredibile cifra di 10.000 ducati (una quantità d’oro corrispondente a circa 170.000 euro), l’opera è attribuita al Pittore di Kleophrades (490-480 a.C.). Sulla spalla del vaso si succedono in circolo scene della presa di Troia (tra cui lo stupro di Cassandra e la sanguinosa morte di Priamo), capaci di affascinare i moderni per il contrasto tra l’armonia compositiva e la violenza nella resa dei dettagli.
Parallelamente ai temi delle culture a contatto e dell’integrazione, concepita come base per la costruzione di una società mediterranea eclettica, nell’allestimento della collezione Magna Grecia si sono volute ricordare anche le scoperte archeologiche più importanti avvenute tra Otto e Novecento. Attraverso figure di studiosi come Paolo Orsi, Umberto Zanotti Bianco e Giovanni Pugliese Carratelli, la storia delle collezioni magnogreche del MANN si intreccia con una parte importante della storia culturale dell’Italia unita e del Meridionalismo illuminato, che ha vissuto la valorizzazione dell’eredità della Magna Grecia come potenziale riscatto per il Mezzogiorno.
Meraviglia nelle meraviglie sono le 14 sale del Museo attigue al salone della Meridiana in cui è ospitata la collezione: tali sale sono caratterizzate da pregiati sectilia a motivi geometrici e mosaici di età romana, messi in opera nella prima metà dell’800, sottoposti in questi anni ad un intervento di manutenzione e pulizia, che ha restituito alle superfici la vivacità dei colori delle diverse qualità di marmo. Spicca, tra tutti, il pavimento circolare in opus sectile proveniente dal Belvedere della Villa dei Papiri di Ercolano (sala CXXXIX), dal modernissimo gioco di illusionismo prospettico. Si specifica che la pavimentazione a mosaico delle sale che ospitano la collezione necessita di alcune precauzioni nella fruizione, tra cui l’utilizzo di apposite calzature (al costo di 1,50 euro) e l’ingresso regolamentato negli spazi espositivi.
Il progetto di nuova apertura della collezione Magna Grecia è stato realizzato con fondi FSC 2014-2020, afferenti al Piano Stralcio Cultura e Turismo-Delibera C.I.P.E. n° 3/2016. La collezione è stata la prima, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ad essere concepita come accessibile a qualsiasi tipo di pubblico, anche con esigenze speciali.
Il progetto di nuova apertura della collezione Magna Grecia è accompagnato, infine, da una guida-catalogo, a cura di Paolo Giulierini e Marialucia Giacco; la guida è edita da Electa.
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