Spettatori in delirio per “Elvira”(Elvire Jouvet 40), personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura e delle istituzioni in platea.
La straordinaria regia di Toni Servillo con la sapiente traduzione di Giuseppe Montesano, la grande interpretazione del Maestro e dei suoi attori – Petra Valentini-Claudia-Elvira, Francesco Marino-Octave-Don Giovanni, Davide Cirri-Leòn-Sganarello- ha trascinato in una dimensione “altra” nel “limen” tra platea e proscenio, il pubblico del Bellini gremito in ogni ordine di posti.
Trattasi di sette lezioni che Louis Jouvet -regista e attore di teatro e di Cinema, al Conservatoire National d’Art Drammatique di Parigi- tenne realmente nel 1940 su un’unica scena del “Don Giovanni” di Molière: “l’addio di Elvira”
Una rappresentazione “meta-teatrale” sulla ricerca drammaturgica in cui Servillo dopo il conclamato successo parigino, non ha deluso il suo pubblico partenopeo, che lo ha ringraziato con un tripudio di applausi e reiterate chiamate.
La messa in scena delle lezioni, dal 14 febbraio al 20 settembre del 1940, dello scambio dialettico tra Jouvet e Claudia, è il momento di gestazione drammaturgica in cui, attraverso il rapporto “maieutico” tra maestro e discente, nasce e si sviluppa l’embrione del personaggio. Nella placenta di uno spazio chiuso, di un palcoscenico quasi vuoto, minimale, gli attori in movimento si spingono “oltre” invadendo la platea, dal loro microcosmo interiore.
Vero protagonista è quindi il dialogo, strumento di ricerca tra Servillo-Jouvet e la sua discente nei panni di Elvira, mentre voci fuori campo rimandano al tragico imperversare delle truppe naziste che non consentiranno la messa in scena dell’opera.
Uno spettacolo che riflette sulla negazione della riflessione stessa, in cui Claudia e Jouvet sono spiati nel loro laboratorio di artigianato “poieutico”. Nella ricerca di Claudia per rendersi all’ “altezza del testo”, della straordinaria tenerezza di Elvira nel suo disperato tentativo di salvare colui che l’ha offesa, tradita e umiliata. Non perché spinta dalla passione terrena, ma afferma lo stesso Jouvet come “una santa” per amore mistico, amore di Dio.
È soltanto mediante una tensione viscerale, uno sforzo estremo di superamento dei propri limiti che è possibile per l’ “acteur” riesumare i personaggi e divenire “comédien”.
La tecnica raziocinante che rende l’esibizione di Claudia così puntuale non solo non è bastevole, ma la condannerebbe alla banalità. È con “il sentimento”, l’intuizione intellettuale che Ella potrà spogliarsi di sé e rivestirsi della passione di Elvira, farla implodere sotto la sua pelle come fuoco dirompente nel teatro.
Mediante l’ intelligenza intuitiva potrà superare la soglia-limite cerebrale, solo abbandonando il proprio “orgoglio” di attrice. È indispensabile per l’attore l’annullamento di sé per lasciare che il personaggio lo abiti, affinché trovi il proprio spazio nel vuoto mistico.
Da qui un chiaro manifesto programmatico della poetica di Jouvet, uno dei più grandi modelli per Servillo insieme ad Eduardo, in cui il talento si sovrappone alla mera tecnica che si serve solo di arida intelligenza drammaturgica, la macchinazione fallace nella quale il pubblico raffinato sconfessa e riconosce colui che l’attore francese definì “L’imbroglione”.
Si tratta dell’antico concetto di “mimesis” che nel teatro classico rendeva secondo Platone i poeti pericolosissimi proprio per la capacità di trasferire e izzare le passioni in maniera immediata.
E il teatro è il luogo privilegiato dove esse vengono liberate e catturano corpi in movimento, personificate. Ed è proprio quella stessa immediatezza delle passioni che deve trasferire secondo Jouvet, un’attrice in una esibizione perfetta, come una menade in uno stato onirico di semi-coscienza.
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