domenica 22 Settembre 2024
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Procuratore Mancuso: «I Gigli di Nola? Deriva pagana agevola la camorra»

NAPOLI — Paolo Mancuso, procuratore di Nola ed ex coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, competente a indagare sugli episodi camorristici. Un sacerdote chiede di abolire la festa dei Gigli e i pellegrinaggi sospetti: dice che in nome di San Paolino a Nola si raccolgono soldi per i clan. Le risulta?
«No. Se ci fossero stati finanziamenti alla camorra attraverso l’utilizzo di fondi destinati alla festa dei Gigli sarebbe emerso dalle indagini condotte sia da noi che dalla Procura antimafia di Napoli».

Non c’è neppure un controllo della criminalità organizzata sulla manifestazione?
«Direi proprio di no. Qui a Nola la camorra ha perso la sua centralità, le figure forti dei clan locali sono scomparse dal 2010. E poi non dimenticate che abbiamo interrogato per anni il superboss pentito Carmine Alfieri, che viveva a due passi da qui, a Piazzolla di Nola. E che ha sempre escluso interferenze dei clan nella festa dei Gigli».

Sono tutte mammolette insomma?
«Guardi, che durante questa festa ci siano integrazioni e contaminazioni, è un dato che posso ritenere assolutamente verosimile, anche se non corroborato da riscontri giudiziari. Così come posso fortemente sospettare che circolino, in quei giorni, sostanze che non dovrebbero circolare. Altro, però, è dire che i clan controllano la festa».

Scusi, e allora perché un sacerdote anticlan s’è spinto a una raccolta di firme per chiedere l’abolizione della festa dei Gigli?
«Non lo so. Devo dire però, in generale, che don Aniello Manganiello tocca un tema delicato, quello del rapporto tra devozione e religione. Un argomento sul quale segnalo un bel libro fotografico del ’70, Chi è devoto, e le intelligenti riflessioni di Isaia Sales contenute nel suo volume sui rapporti tra criminalità organizzata e religione».

Perché il tema è delicato?
«Perché devozione vuol dire rapporto con il popolo. E, in questi territori, avere un rapporto con il popolo oggettivamente significa entrare in contatto con la camorra».

Quindi queste feste è meglio abolirle?
«È assurdo eliminare un momento di coesione sociale e di orgoglio per la città di Nola a causa del pericolo di contaminazione dei clan. Deve far riflettere, piuttosto, la natura di queste manifestazioni».

Cioè?
«La mobilitazione della fede spesso sfocia in un rito. E quel rito ci mette un attimo a trasformarsi da religioso in pagano».

Cambia qualcosa per i clan?
«Tutto. Il punto di contatto tra camorra e religione è proprio la natura pagana del rito, che lascia campo libero a chi vuole strumentalizzare la manifestazione a fini di consenso sociale».

La festa dei Gigli è pagana?
«Rischia una deriva in tal senso, sì. Coinvolge la città nella sua interezza, in tutti i suoi strati sociali, nessuno escluso. Ed è normale che la natura pagana del rito possa dar vita a deviazioni, presenze inquietanti, figure che condizionano la raccolta di fondi. Finora però, come dicevo, non c’è stato un riconoscimento formale di tutto ciò».

Soluzioni?
«La vera questione secondo me riguarda la necessità di garantire la natura religiosa del rito».

Tocca alle gerarchie ecclesiastiche.
«Il vescovo di Nola Beniamino Depalma è una persona sensibile e molto attenta, che sa unire la religiosità a una carica sociale molto forte. Diciamo che ha assolutamente presente l’ambiente in cui opera».

Ricapitolando: lei sostiene che la devozione significa contatto con il popolo, e nei vostri territori si traduce in un oggettivo contatto con la camorra. La Chiesa può tollerare tutto questo?
«L’esercizio del magistero della Chiesa va rivolto al popolo, e soprattutto a quelle persone che sono fuori dalla parola di Dio. Il primo obiettivo è proprio ricondurre il peccatore alla norma cristiana, non emarginarlo».

Quindi il contatto è necessario?
«Il rapporto con il popolo per la Chiesa è vitale. Qualche volta però, purtroppo, si gioca nei riti. E lì si manifestano forme di devozione ai limiti del paganesimo, come per esempio nel caso dei battenti. Fenomeni tollerati, perché la Chiesa ne riconosce la valenza di socialità e con quelli può riaffermare la sua centralità rispetto alla vita di un popolo. Anche se a volte, devo dire, si sfocia nella blasfemia».
Dove?
«È accaduto a Castellammare, ad esempio. Prima che la tradizione fosse interrotta, la sosta della statua di San Catello sotto la casa del boss era un inchino da potere a potere. Una bestemmia».

Nulla di tutto ciò a Nola?
«Gli unici illeciti di cui mi sono dovuto occupare sono stati quelli relativi alla costruzione dei Gigli. Gli operai salivano fino a ventisei metri d’altezza senza rispettare alcuna norma anti-infortunistica. E, anche in quel caso, il mio intervento fu visto come un sopruso».

Gianluca Abate12 giugno 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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