Pomigliano d’Arco: E alla fine prevale il sì nello stabilimento più discusso degli ultimi mesi. Prevale il sì alle condizioni dettate dall’ad Fiat Sergio Marchionne, che ancora non si sa se permetteranno l’arrivo di Panda, così come promesso. Una giornata lunga ed estenuante quella di ieri. L’ingresso 2, il più conosciuto del “G.B.Vico” è affollato fin dal primo mattino. Un referendum paragonabile ad un parto. Fuori dai cancelli stendardi e bandiere, sono quelle di tutti coloro i quali come Slai Cobas e Fiom dicono “no” a quello che definiscono “non un piano, non un accordo, ma un ricatto”. Tra questi si mescolano organizzazioni studentesche ed universitarie, “rappresentanti del popolo viola”, unione sindacale di base e tutti coloro i quali così come sostengono “sono lì per dimostrare solidarietà agli operai che non sono soli di fronte a questo ricatto”. Sono le ore 14, è finito il primo turno e le tute blu votanti si accingono all’uscita. Sguardi bassi, mani che allontanano microfoni e telecamere. Il frastuono tipico del turno delle 14, non appartiene al giorno del referendum. Cala il silenzio e pochi sono gli operai che si lasciano sfuggire qualche breve commento di cornice. “Oggi non avevamo altra scelta” dice una tuta blu avviandosi verso la propria automobile, “speriamo che almeno il sindacato da oggi in poi farà la sua parte”. L’affluenza al contrario di ciò che ci si aspettava dalle indiscrezioni dei giorni scorsi è stata alta, anzi altissima, considerando che su 4870 aventi diritto al voto, alle ore 18 già ben 4281 tute blu si sono recate alle urne. E questa è stata l’organizzazione della votazione: dalle ore 8 alle 10 e dalle 15 alle 17 si sono recati al voto il reparto Lastratura, verniciatura e stampaggio.Dalle ore 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 gli addetti al montaggio della Alfa159, i centralisti e gli impiegati, mentre dalle 12 alle 14 dalle 19 alle 21 gli addetti al montaggio Alfa147. Ogni seggio si è costituito da due scrutatori all’interno dell’azienda rispettivamente delle quattro organizzazioni sindacali Fim, Fismic, Uilm e Ugl più lo Slai Cobas, ma nessuno scrutinatore della Fiom. “Il voto è stato costretto” aggiunge qualcun altro. Sono volti quelli delle tute blu, che non vogliono essere identificati, rifuggono dalle domande e si celano anche dietro risposte come: “ Il voto è segreto”. E c’è chi spera che “passi il sì, ma solo perché non ci sono altre prospettive di futuro”. E c’è chi, accusa “ giornali e stampa per essere arrivati sul luogo solo alla fine e mai durante tutte le battaglie fatte dai lavoratori”. Per alcuni di questi la tensione aumenta e monologhi urlati a gran voce verso il cielo diventano l’unico modo per cercare una soluzione alla propria condizione. “Non è un referendum scegliere tra campi di calcio e la nuova Panda, non si tratta di alcuna scelta” continuano. “Hanno affossato lo statuto dei lavoratori, venisse il ministro Sacconi 8 ore sulla catena di montaggio” tuonano. Discutono in piccoli gruppetti gli operai fuori dai cancelli, E solo così riescono ad aprirsi e a commentare anche il clima in fabbrica, quello che molto spesso tengono rinchiuso lì, nella stessa azienda lasciatasi alle spalle. “Fuori le urne” si rivelano, “c’erano capisquadra e dirigenti” aggiunge qualcuno, “ c’invitavano a votare sì per il bene della fabbrica, così come hanno fatto fino a ieri sera inviandoci messaggi sul cellulare. Osservavano chi votava, è normale che alcuni operai si siano sentiti oppressi” . Quel clima di tensione che si denunciava in questi giorni non sembrerebbe essere stato, dalle dichiarazioni, solo uno spettro infondato. E nello Slai c’è qualcuno che afferma: “ Il brutto è che hanno creato disaccordi e discordie stesso tra noi operai” quasi a dimostrazione del fatto che anche a fine episodio vi sia stata una morale di fondo. Migliaia e migliaia di volantini passano di mano in mano,è un tam tam ma questa volta di parole, che sembrano contare a poco anche se fissate su un pezzo di carta, “Molti colleghi temono di perdere il posto di lavoro” aggiunge un giovanissimo operaio. “La vera forza però siamo noi giovani, se siamo uniti tutti, per capire cos’hanno fatto i nostri genitori dentro questa fabbrica e per i diritti dei lavoratori capiremmo tutto, ma dobbiamo andare avanti” aggiunge. I cancelli si richiudono ed il piazzale ritorna a sfollarsi. In terra solo stralci di carta, volantini appallottolati che si fermano d’innanzi all’ingresso. Si spera che non facciano la stessa fine dei diritti dei lavoratori. Quelli conquistati durante gli autunni caldi, quelli che Giuseppe Di Vittorio durante gli anni 70 denunciava “fermarsi ai cancelli delle fabbriche”.
Isabella Esposito
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