Dai quaranta milioni di euro per la riqualificazione del quartiere ai dieci milioni per l’abbattimento del Palazzo. I tagli di spesa del Governo Meloni si abbattono su Torre Annunziata
Lunedì 2 dicembre si è tenuto presso Palazzo Criscuolo l’ultima giornata del ciclo di incontri dedicati ai beni confiscati di Torre Annunziata, gestiti dalla società Agrorinasce. Tra gli ospiti, Stefano Consiglio, Presidente della Fondazione Con il Sud, Enrico Tedesco della Fondazione Polis e Giovanni Allucci, amministratore delegato di Agrorinasce. A fare gli onori di casa, il sindaco Corrado Cuccurulo.
La discussione si è incentrata sulle opportunità di finanziamento offerte dalla Fondazione Con il Sud per le associazioni del terzo settore, invitate all’evento, e ha toccato anche il tema di Palazzo Fienga, storico edificio ottocentesco, poi divenuto roccaforte di Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata, oggi oggetto di un piano di abbattimento da parte del governo Meloni. Una decisione che non trova d’accordo Enrico Tedesco e che sottolinea l’assenza del governo nel convocare la conferenza Stato-Regioni su un tema così importante come i beni confiscati.
Al coro dei no ci sono aggiunti, nei precedenti appuntamenti, altre personalità che sono in prima linea nella lotta alla camorra. Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis, più noto come il prete anticamorra, ha ricordato che la legge nazionale prevede il riuso sociale dei beni confiscati. E ancora: Ernesto Aghina, presidente emerito del Tribunale di Torre Annunziata, Francesco Abete, presidente del Tribunale di Torre Annunziata F.F. e Daniela Lombardi, dirigente dell’Agenzia nazionale Beni Confiscati, hanno manifestato perplessità su questa decisione. Più netto Mariano di Palma, referente di Libera Campania, che ha apertamente contestato la scelta del governo di destinare fondi all’abbattimento invece che alla ristrutturazione.
La storia di Palazzo Fienga, di ispirazione spagnoleggiante come tanti celebri edifici napoletani, fonda le sue origini alla fine dell’800, quando era la residenza dell’allora borghesia imprenditoriale torrese, dedita principalmente all’arte bianca. Il palazzo, con i suoi circa 12mila metri quadrati di superficie, era dotato di magazzini, locali e appartamenti. Con il declino della attività dei pastifici, anche il palazzo fu abbandonato dai vecchi proprietari, che vi lasciarono però numerosissimi inquilini. Da quel momento la storia di Palazzo Fienga si intreccerà con il quadrilatero delle Carceri, quartiere del centro storico di Torre Annunziata, divenendo il regno di Valentino Gionta e del suo clan, che ne utilizzavano i magazzini e i sotterranei come bunker personale e nascondiglio per armi e munizioni. Il quartiere tutto infatti versa in uno stato di abbandono e degrado dal lontano gennaio 1946, quando un’esplosione di carri ferroviari, carichi di munizioni, devastò la zona. Sebbene Palazzo Fienga sia rimasto in piedi, il circondario da allora, è ridotto in macerie, mai ricostruite, ultimamente utilizzato come set cinematografico di fiction stile Gomorra. In questo contesto – a cui si sono aggiunte negli anni le macerie della deindustrializzazione e della desertificazione causati spesso dall’immobilismo politico – la camorra ha prosperato grazie anche agli alti tassi di disoccupazione e povertà.
Il terremoto del 1980 ha aggravato ancora di più la situazione, distruggendo ulteriormente gli ultimi edifici pericolanti. Stanziati ingenti fondi post terremoto, come quelli della legge 219, essi non furono mai utilizzati per un piano di ricostruzione urbana. Dopo l’arresto del maggior esponente del clan Gionta, Valentino, condannato all’ergastolo per essere il mandante e l’esecutore di numerosi omicidi, si presenta una nuova speranza per la zona e per il palazzo con i fondi del “Contratto di Quartiere”; questi furono successivamente revocati dall’allora governatore della Campania, Stefano Caldoro. Ancora una volta, la politica non seppe (o non volle) sfruttare l’occasione per ristrutturare la zona, decidendo di fatto di lasciare nel degrado un’intera parte della città.
Nel 2015, inoltre, Palazzo Fienga insieme alle sue 72 unità immobiliari, fu messo sotto sequestro; oltre settanta nuclei familiari, tra affittuari e proprietari, furono sfrattati avendo come unica colpa quella di avere come dirimpettaio “i Valentini”.
Vennero così murati tutti gli accessi al palazzo, consegnando alla città uno scenario desolato che rappresenta l’animo della comunità.
Oggi un nuovo faro si accende sul futuro del quartiere. È il faro delle ruspe, in quanto l’attuale governo Meloni ha deciso di abbandonare l’idea iniziale di riqualificare l’edificio storico, diventato nel frattempo bene confiscato alla camorra, e farne una colata di cemento. Al vento i 40 milioni del passato governo Conte, destinati anche al recupero del quartiere, in cui si decise di stanziare i fondi per trasformare Palazzo Fienga in un centro simbolico per la legalità, sede di Forze dell’Ordine, di associazioni che si occupano del sociale e di centro polisportivo. Niente da fare. Il Palazzo con “soli” 12 milioni di euro sarà buttato giù, la ristrutturazione è troppo costosa. Una demolizione al buio, in quanto non sono stati resi noti i progetti che occuperanno l’intera area.
La città non si aspettava inoltre che il sindaco Cuccurullo, nonostante continui a nutrire forte perplessità sulla demolizione, non abbia l’intenzione di far valere i poteri propri sanciti dalla legge sulle autonomie locali. Il Primo cittadino aveva più volte ribadito nella recente campagna elettorale che era “dell’opinione anche simbolicamente che palazzo Fienga non debba essere abbattuto” e che “il quartiere avrebbe bisogno di un intervento di social housing”; in una città in affanno anche per l’emergenza abitativa e che vede ogni anno perdere residenti, i 72 appartamenti del Palazzo Fienga ristrutturati sarebbero stati una risorsa preziosa per contrastare lo spopolamento e offrire soluzioni abitative dignitose a chi ne ha più bisogno.
Oltre i danno, la beffa. La cittadella della legalità sarebbe stata intitolata a Giancarlo Siani: ora gli sarà dedicato altro, una piazza, forse un parcheggio, una colata di cemento, in mezzo al nulla, trasformando la memoria di un eroe in una giustificazione per le scelte scellerate della politica, quelle che aveva sempre combattuto.
La storia di Palazzo Fienga e del Quadrilatero delle Carceri rappresenta il simbolo di come la politica possa distruggere con le sue scelte un territorio tanto quanto la criminalità organizzata. È tempo che la città, orgogliosa del suo passato operoso e opulento, rivendichi il suo futuro, al di là delle macerie, con un vero cambio di passo. È tempo che vengano stanziate somme per la ricostruzione di un intero quartiere, il vero unico simbolo della presenza delle istituzioni sul territorio. È tempo che il palazzetto della legalità, della socialità e della cultura o dell’housing sociale si eriga al più presto per dare seguito a quelle promesse che non possono valere solo il tempo di una campagna elettorale.
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