Ottaviano. Riciclo del vetro: l’appello dell’azienda San Domenico “noi compriamo rottami provenienti dal recupero dei rifiuti della nostra stessa città”. Una doppia beffa quella che si consuma ormai da diversi mesi nella cittadina ottavianese, che vanta uno dei poli industriali più all’avanguardia nella sfera del vetro, un istituzione nel settore che ormai detiene e continua a tessere il primato attraverso la produzione di bottiglie con un personale di tutto rispetto che prima di tutto lavora con passione e per passione ma che ogni giorno si trova a fare i conti con una triste realtà. A dire del presidente della San Domenico Vetraria di Ottaviano, Luigi Iervolino, le balle di rifiuti esportate (a pagamento) in Germania verrebbero selezionate dai tedeschi e i rottami di vetro venduti alla stessa regione di provenienza. “La San Domenico Vetraria con sede e stabilimento ad Ottaviano, azienda specializzata nella produzione delle bottiglie di vetro, per la carenza di rottami di vetro adatti al riciclaggio e alla produzione dei nuovi contenitori, è stata costretta ad acquistare questo materiale sul mercato estero e precisamente in Germania – aggiunge Iervolino – in questi giorni è giunta al porto di Salerno una nave con un carico di 5090 tonnellate di rottame di vetro misto pronto al forno, che sono state trasportate da Salerno ad Ottaviano con autocarri “pellican” con cassoni ribaltabili. Per il trasporto del rottame sono stati impiegati circa 150 macchine di questo tipo, con notevole aggravio di costi. Questi rottami sono stati ricavati dalle numerose balle di rifiuti della città di Napoli che, giunte in Germania, sono state trattate e lavorate per il recupero dei materiali riciclati”. L’amarezza del Presidente Iervolino si fa più evidente quando ci mostra un decreto borbonico del 1832 con il quale nel Regno delle Due Sicilie la raccolta differenziata era già obbligatoria. Il documento datato il 3 maggio di quell’anno, a firma del prefetto di Polizia di Napoli Cavalier Gennaro Piscopo, in dodici articoli analizza l’intera situazione igienica, comminando pene finanche detentive per i trasgressori, tra le prescrizione principali l’obbligo di far “ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile”. I rifiuti, come si esprime il decreto, “le immondezze dovevano essere prelevate nelle ore mattutine e trasportate fuori città né i siti che verranno destinati”. Particolare attenzione ponevano le autorità al corretto comportamento delle lavandaie, che all’epoca svolgevano il loro lavoro prevalentemente nell’attuale quartiere napoletano di Santa Lucia “le lavandaie di Chiaia dovranno recarsi ne i locali a Santa Maria in Portico, dove per comodo pubblico trovarsi tutto ciò che necessita e questo perché è espressamente vietato lavare o spandere panni lungo le strade abitate”. Precisato che le norme erano in vigore “nei diversi comuni” e indistintamente per tutti “anche per i custodi di monisteri e chiese” il bando borbonico si sofferma poi su quella che oggi chiamiamo raccolta differenziata “usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie e di separarne tutti frantumi di cristallo o di vetro, riponendoli in un cumulo a parte”.
Giovanna Salvati
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