Ottaviano. Ha 36 anni e vive con la mamma ed il padre, nella cittadina ma soprattutto in giro per il mondo. Da altrettanti 36 ne vive su di una sedia a rotelle. E’ lucida e cosciente, non è una diversamente abile ma inevitabilmente la fanno sentire tale. Non vuole fare la vittima raccontando la sua storia e ne lo si sente, non si racconta per farsi pubblicità, viceversa chiede l’anonimato, ma per noi il suo nome di fantasia sarà Lucia. La contraddistingue la speranza che attraverso quegli occhi lucidi qualcosa possa effettivamente cambiare, ma soprattutto che la tenacia di come lei combatte non si trasformi in sopravvivenza. Lucia, vive a pochi passi dal centro storico di Ottaviano, a confine tra il quartiere di San Giovanni e quello di San Francesco. La sua vita è costellata di titoli e di riconoscimenti, tutti conquistati da sola, con le sue qualità e la sue grinta, ma soprattutto con quel coraggio e quella determinatezza mettendo da parte le sue difficoltà fisiche, ma evidenziando quelle intellettuali. E’ una storia semplice ma che viene raccontata per scuotere le coscienze: quelle degli amministratori e soprattutto quelle dei cittadini “è l’unione che fa la forza – spiega Lucia – ed io mi auguro che qualcuno si unisca a questa voce e domani mattina possa davvero pensare ad un impegno. Vivo da 36 anni su di una sedia a rotelle, la mia malattia non è rara ma per chi come me ci convive da 36 anni può diventare letale. Per me non è stato cosi, ma forse dopo 36 anni lo inizia ad essere”. Si presenta con semplicità e senza grosse cerimonie, vuole solo raccontarsi e attraverso il suo racconto lanciare un messaggio. “Sono laureata in Economia e lavoro al Centro Direzionale, sono specializzata in Economia dei Mercati Internazionali e mi occupo ogni giorno di indagini, di rilievi e soprattutto vivo di contatti con paesi esteri – continua la 36enne – mi confronto ogni giorno con realtà diverse e ogni giorno cresco. Viaggio molto, spesso sono a Bruxelles e in Giappone, non ho difficoltà di massima, nonostante mi muova su queste due rotelle, che ormai per me rappresentano la mia vita. Ma ogni volta che ritorno qui con i miei genitori è un vero e proprio incubo. Non posso camminare da sola per strada: tra marciapiedi, impedimenti ed ostacoli, diventa per me un incubo. Non pretendo che ci sia l’adeguamento completo per persone che abbiano difficoltà motorie, ma non posso nemmeno accettare che nei pubblici uffici mi si sventoli un cartello “riservato ai disabili” ma prima di accedere all’area concessasi, ci sono due rampe di scale da fare, proprio come nella casa comunale”. Lucia mette in moto una critica e solleva delle osservazioni che più di una volta erano state sottolineate “so che in alcune scuole, chiese e qualche nuova piazzetta, hanno provveduto, come d’altronde obbliga la legge – incalza Lucia – a posizionare delle sopraelevate, ma per il resto il paese è inaccessibile. Io so quanto è difficile pensare di rimodellare una cittadina a prova di persone diversamente abili, ma vi garantisco che è ancora più difficile convincere chi ha un impedimento fisico a farsi aiutare”. “So come si pensa e come si ragiona – continua la giovane professionista – ma so anche che rimanere alla finestra a guardare il mondo fuori è la vera punizione, è in quel momento che puoi pensare di essere solo e perdente, o di far si che la tua difficoltà si trasformi in un appello e in una sana critica: io ho scelto la seconda”. Chiude gli occhi e girando su stessa con un sorriso conclude “i veri perdenti sono coloro che bloccano a persone come noi la quotidianità, inconsapevoli però di renderci i vincenti domani”. (Metropolis 7 Luglio 2011)
Giovanna Salvati
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