martedì 26 Novembre 2024
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Napoli…Tudine dal volto umano per Thomas Mugnano ed i suoi Matt…Attori

Un’opera inedita – la quinta frutto del talento dell’autore rocchese – forte, cruda, farcita di un realismo spietato che parte dai quartieri di Napoli più malfamati – identificati anche dall’indubbio linguaggio forte o pseudo volgare dei suoi protagonisti quotidiani – per assurgere a positività dovute ad una ribellione interiore, da bistrattati a protagonisti, da camorristi a individui in cerca di una legalità negata, da situazioni familiari disastrate e faticosamente provate a riportare alla ‘normalità’, da ‘maltrattati’ da una storia infame e da un’informazione volutamente plateale, ingiustamente amplificata sulle negatività e stranamente ‘ridimensionata’ in quel tanto di buono che comunque si riesce a realizzare anche se con una “CORSA ad HANDICAP”.

Particolarmente apprezzati, poi, i vari momenti musicali con testi che hanno reso bene l’idea, incastonandosi alla perfezione nel contesto narrativo a partire dal pressoché ininterrotto sottofondo del brano che prende il nome dal titolo: “Napoli…Tudine”. Non c’è che dire se non che hanno procurato più di un brivido sia per la calda e decisa voce dei solisti che nel suggestivo sostegno armonioso conferito dall’appropriato coro.

Nello scorrere degli eventi abbiamo avuto subito la sensazione di trovarci di fronte ad una ‘Matrioska’, figurando una scatola grande – quella dell’intero ambito socio/teatrale narrato – dalla quale uscivano fuori, non senza colpi di scena, innumerevoli ‘contenitori d’umanità’ più piccoli ognuno dei quali conteneva aspetti della tanta bistrattata ‘napoletanità’, per la quale non si può e non si deve cedere al concetto di ‘segnati dalla sorte’ perché, come recitava il bravissimo Antonio Avilio, il ‘cucciolo’ più talentuoso della covata ‘Thomassiana’, “CHESTA E’ PURE ‘A TERRA MIA!!!!”. Dobbiamo resistere perché questa è “’A Terra nostra!!!”.

Ed è così che scopriamo il venditore ‘mobile’ – di sigarette, il parcheggiatore abusivo, il propagatore di ‘prodotti’ più strani … – che ‘deve’ mettere in atto una serie di marchingegni ed espedienti per sbarcare il lunario. Lo scugnizzo che ruba per assistere alla partita del ‘Napoli di Maradona’; il gruppetto di giovanissimi dispettosi e ben ‘allenati’ a fare sfregi quali il rovinare le auto di clienti troppo tirchi; la finta sordomuta per fregare la pensione allo stato; il ‘cenziero’ che toglie il malocchio; la zingara che legge la mano dietro laute ricompense, rivelando non altro che quello che fa piacere sentire; ‘o sfaticato non preso in considerazione dalla ragazza con la quale vorrebbe fidanzarsi; ‘O guappo, divenuto violento per non servire a clienti spesso ‘schizzati’, ‘na tazzulella ‘e cafè’ da dietro al bancone di un bar, magari sentendosi anche rimproverare perché dolce, perché amaro, perché … e, alla fine, anche sottopagato!!! Più redditizio fare il ‘protettore’ sfruttando graziose donzelle che, in tempo di crisi sono costrette ad abbassare i prezzi per ‘battere’ chiodo.

E mettiamoci pure l’onorevole – un paio etichettati con nomi molti simili a nostri conoscenti – sinonimo di promesse elettorali puntualmente disattese ad elezione avvenuta, che favoriscono ‘il posto’ solo in cambio dell’elargizione di cospicue somme o di favori sessuali di finte santarelline – come sono bella, come sono bella!!! – o sfigate croniche che non potendo in ‘argent’ provvedono a contraccambiare in ‘natura’.

Ed è proprio il personaggio principe di tutta la storia ad etichettare quali “Mariuoli” le più svariate categorie di disonesti. E ci rientrano veramente tutti, sia in forma più propriamente privè che nell’elencare professioni e mestieri. Non si salvano neanche i rappresentanti della Chiesa o professionisti riveriti e scappellati a tutta forza solo perché gestiscono aree di potere alle quali bisogna per forza rivolgersi.

Lui, il barbone divenuto tale a seguito del latrocinio subito dall’ex moglie – cointestataria del conto bancario – che lo lascia sul lastrico, a commiserarsi piuttosto che assistere i figli piccoli – un ragazzo che finirà presto in galera per aver frequentato cattive compagnie ed una ragazza costretta a fare la prostituta dopo infiniti, vani tentativi di trovare un lavoro decente e dignitoso che le desse la possibilità di vivere onestamente e curarsi del fratello più piccolo. Tutto vano!

Si, finché a condurre il ‘distratto genitore’ alla realtà, ci pensa una lettera anonima che lo informa della ‘cattiva fine’ fatta dai suoi figli. Ed è così che incomincia ad accendersi quel lampo di orgoglio ancorché ancora sopito, ancora in cerca di scuse per non aver saputo reagire all’infame destino, facendone il momento più emotivo e straziante dell’opera.

Ci riferiamo all’incontro con la ritrovata figlia – impersonata con caloroso e lancinante realismo e fisicità appropriata, da una sempre più convincente Colomba Dello Russo, fresca di premio quale attrice non protagonista alla rassegna teatrale pugliese ‘La quercia d’oro’ a Grumo Appula – alla quale, provocatoriamente chiede una ‘normale’ prestazione sessuale a pagamento, rinfacciandosi ed incolpandosi l’un l’altra -“Dov’eri quando io avevo bisogno di te??!!”; “La colpa è tutta di tua mamma che ci ha derubati ed abbandonati!!!” – della propria situazione di esseri umani relegati ai margini della società.

Ma, in un barlume di dignità, orgoglio e di tasselli collocati finalmente al posto giusto, il contatto carnale non può avvenire in quelle due entità che stanno ritrovandosi nei loro affetti più semplici ed indissolubili del rapporto padre/figlia, nonostante i ben definiti annessi e connessi.

Inutile pure chiedere ‘comprensione’ a San Gennaro per giustificare i propri sbagli, ancora cullandosi nell’idea di vittima predestinata convinto di essere in credito e non in debito con la sorte. E no, caro, possiamo argomentare quanto si vuole sulle nostre sventure, sulla nostra malasorte, ma c’è sempre una COSCIENZA – rappresentata nella splendida performance scenografica e recitativa dalla sempre più sorprendente Marianna Riccardi – che ci richiama alla realtà per rinfacciarci dei nostri errori e per spogliarci dei nostri convincimenti errati che conducono inesorabilmente all’auto-assoluzione, nella falsa convinzione che la colpa di quello che ci capita, sia sempre del ‘prossimo’ e non nostra!

Ed è proprio il finale a sfondo filosofico, intriso da congetture che rivelano nell’autore barlumi di conoscenza dell’animo umano, che il racconto si eleva e consegna all’autore e ai numerosi attori il giusto tributo di un pubblico delle grandi occasione che, ancora una volta ha mostrato di gradire un prodotto teatrale che, per certi versi, stentiamo a collocarlo nella cerchia di ‘teatro amatoriale’. Vedremo se i fatti ci daranno ragione!

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