giovedì 19 Settembre 2024
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Lucio Dalla e il suo legame con Napoli

Alla sua arte ho legato pezzi della mia esistenza, parte dei miei sogni, aspetti del mio modo di leggere il mondo e di vivere la vita. ‘Futura’ è stato uno dei miei primissimi approcci alla musica, a soli cinque anni. Nel tempo l’ho seguito sempre con grande curiosità e interesse fino ad avere, più volte, la fortuna di incontrarlo, ascoltarlo dal vivo e manifestargli la mia stima. A seguire la ferma decisione di inserirlo in un mio lavoro di ricerca sulla musica d’autore che non ho fatto in tempo a inviargli. Quando i grandi artisti ci lasciano e di punto in bianco, i ricordi di una vita ti travolgono e finiscono col provocarti un grande vuoto dentro.
Il mio personale tributo a Lucio va con questa retrospettiva su uno dei suoi brani più intensi e celebri che lo legano indissolubilmente alla nostra città.


Napoli. ‘Caruso’ è una delle canzoni più belle dell’intero panorama musicale italiano. La sua genesi risale alla metà degli anni Ottanta. La troviamo pubblicata per la prima volta nell’album ‘DallAmeriCaruso’ (uscito nel 1986), come unica canzone inedita di un disco registrato dal vivo (al Village Gate di New York il 23 marzo del 1986) a testimonianza della fortunata tournée statunitense.
Nel mese di aprile del 2002, in occasione del quarto di una serie d’incontri organizzati dalla ‘Fondazione Corriere della Sera’, dedicati alla lingua italiana, Lucio Dalla ha spiegato il mistero della creazione dei testi ricordando la sua lunga e proficua collaborazione con un poeta come Roberto Roversi: “I veri poeti sono come i bastardi, tutti li accarezzano, ma nessuno li vuole in casa. Lavorare con Roversi è stato drammatico. Da lui ho imparato tutto, a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra cosa l’emozione pura. Perché quello esprimeva Roversi nonostante volesse consegnare al pubblico italiano una canzone civile. Ogni volta che scrivo qualcosa, vado da lui e mi basta il fuoco o la noia che vedo nei suoi occhi per capire se ho fatto bene o male”.
Nella stessa occasione Dalla ha raccontato la nascita di ‘Caruso’: “Cominciò in modo del tutto casuale, grazie a un’incredibile serie di coincidenze. Come di solito accade in questi casi. Ero in barca tra Sorrento e Capri con Angela Baraldi. Stavamo ascoltando le canzoni di Roberto Murolo quando ci si ruppe l’asse del motore. Andammo a vela per qualche miglio e poi chiamai un amico, il proprietario dell’Hotel Excelsior Vittoria, che ci trainò al porto. In attesa che aggiustassero la barca, ci invitò a passare la notte in hotel, proprio nella suite dove morì Caruso. Lì ho trascorso la notte tra gli oggetti appartenuti al tenore. C’era tutto, anche il pianoforte, completamente scordato. Quella sera un altro amico, giù al bar ‘La Scogliera’, mi raccontò di un Caruso alla fine dei suoi giorni, innamorato di una giovane cantante cui dava lezioni. Era uno stratagemma per starle vicino, ma l’ultima sera, sentendo la morte arrivare, fece portare il piano sulla terrazza e cantò con una voce così potente e di un’intensità tale che anche i pescatori di lampare la udirono e tornarono nel porto per ascoltarla. Mi sono inventato la scena dei suoi ultimi momenti, quando pensa alle notti là in America. Era un passaggio che nel 1986 per me, che stavo per partire per un tour negli Stati Uniti, aveva un significato particolare”. E a chi gli chiede il perché di un evidente riferimento (nel ritornello) a un classico della canzone napoletana e cioè ‘Dicitencello vuje’ scritta nel 1930 da Enzo Fusco e Rodolfo Falvo, Lucio risponde così: “Perché per me quel Te vojo bene assaje messo in quel punto della canzone significava darle il marchio della napoletanità. Da sempre nutro una grande passione per Napoli e la sua cultura: dalla scrittura alla filosofia, fino alle canzoni. E’ una città che mi ha sempre catturato”.
E’ toccante come il destino abbia accomunato questi due grandissimi artisti fino alla fine. Anche Lucio, infatti, ieri sera, per l’ultima volta si è esibito in un applauditissimo concerto, in Svizzera, a Montreux.

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