Somma Vesuviana. Lavori di scavo e fornitura del calcestruzzo a Somma Vesuviana e a Saviano dovevano imporla soltanto i Fabbrocino.
Lo dicono con chiarezza gli atti al centro dell’operazione “Brecca” che l’altro giorno ha portato all’arresto di 12 persone, tra questi il figlio del boss Mario Fabbrocino (o’ gravunaro), Giovanni, reggente del clan da quando il padre è in carcere a scontare l’ergastolo.
In particolare per la Dda è “emblematica” una vicenda che di verifica a Somma Vesuviana nel 2010. Città che gli inquirenti definiscono “notoriamente assoggettata al controllo dei Fabbrocino”. Dalle intercettazioni telefoniche tra alcuni degli imputati si colgono le modalità con cui i gestori della Gifra Srl (ditta che aveva sede a Saviano gestita dai Fabbrocino , ma che era sulla carta di proprietà di tre degli arrestati gli imprenditori sommesi Antonino Porricelli, la moglie Maria Luisa Cozzolino e l’ex assessore di Nola Gianpaolo De Angelis) riescono ad imporre il calcestruzzo ai cantieri. In una conversazione ambientale del dicembre 2010 proprio negli uffici della ditta Porricelli parla con Giovanni Prevete (altro arrestato e cognato di Giovanni Fabbrocino) e si parla di un alterco che l’imprenditore sommese (titolare fra l’altro di un’impresa di movimento terra) ha avuto con un tale Angelo a causa di un cantiere che è stato aperto a Somma Vesuviana, sulla strada che porta a Pomigliano.
Porricelli spiega che, trattandosi di un lavoro da eseguire nel “proprio territorio”, ha redarguito Angelo, aggiungendo che era sua intenzione, per quel cantiere, effettuare non solo lo scavo, ma anche la fornitura del calcestruzzo (quest’ultimo dovrebbe essere fornito come accade per altri cantieri dalla Gifra). Nello specifico Porricelli racconta a Prevete anche di un’altra vicenda simile, nella quale lui si era opposto impedendo ad un altro costruttore di fare dei lavori di scavo a Saviano. Una questione su cui non transige, tanto che Prevete si offre di andare lui sul cantiere certo di ottenere il risultato voluto e cioè che questo imprenditore “ribelle” avrebbe rinunciato al lavoro. Porricelli racconta dell’episodio di Saviano e dice che si rivolse a chi operava lo scavo. “Il cemento ce lo devo vendere io”, racconta, “se ce lo posso vendere, se poi si è preso l’impegno con qualcuno. Lo scavo lo devo fare io. Stiamo a Saviano, allora a Saviano vuoi fare lo scavo, allora che vuoi fare? fammi capire?”. E Prevete lo rassicura: “Ci andiamo io e te sopra al cantiere da lui … quello come mi vede si schiaffa a scappare… lo sa già che io non lo digerisco proprio”. E aggiunge: “vorrei sapere che tieni da fare … ma non lo pensare! Quello questo tanto l’abbandona la fatica … questo lo sa”.
Qualche giorno dopo si torna a parlare del cantiere di via Pomigliano, Porricelli ha incaricato un altro costruttore sommese di verificare che accade e questo gli conferma che i lavori stanno andando avanti e che di devono prendere dei provvedimenti. La conversazione si interrompe, cade la linea, e Porricelli dice al suo interlocutore che è meglio non parlare di certe questioni per telefono. Insomma, le indagini compiute da carabinieri e polizia confermano che è evidente la convinzione di Porricelli e Prevete che i territori di Somma Vesuviana e di Saviano siano dominio del clan Fabbrocino: solo la Gifra e la ditta di Porricelli (“La Compagnia”) possono eseguire lavori di scavo e di fornitura. “Monitorano giornalmente il “loro” territorio”, scrive il Gip Egle Pilla, “alla ricerca non solo di nuovi cantieri cui imporre le loro opere ed i loro prodotti, ma anche per stanare eventuali imprese concorrenti che abbiano osato invadere il “loro” territorio, appurati casi simili “non esitano” a recarsi anche personalmente sul cantiere per far valere la forza intimidatrice derivante dalla loro appartenenza al clan Fabbrocino”.
DA CRONACHE DEL VESUVIANO DEL 3 APRILE
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