lunedì 16 Settembre 2024
HomeCronacaL’arresto di un narcos e la doppia faccia (e i mille nomi)...

L’arresto di un narcos e la doppia faccia (e i mille nomi) della bamba

Ardea, Lido dei Pini, periferia sud di Roma. I carabinieri di Castel Gandolfo si muovono con cautela all’interno di uno dei comprensori che affaccia sul mare. In una di quelle villette si nasconde Claudio De Witt, leggendario re dei narcos romani, da tempo latitante. Deve scontare dodici anni di carcere per aver trafficato quintali di cocaina.

Dai finestrini aperti entra il frinire furibondo delle cicale. Fa ancora caldo, quella Punto non ha l’aria condizionata e la schiena si appiccica al sedile e pare volerle portare via la pelle. L’abitacolo è saturo di fumo e insofferenza. Al suo interno quattro anime tormentate, la punta acuminata della polizia giudiziaria dei Castelli romani.

L’irruzione degli investigatori giunge al termine di una lunga indagine. Ma nulla, né i faticosi pedinamenti né le informazioni che hanno già raccolto, possono preparare i militari a ciò che vedranno di lì a poco. Da un piccolo promontorio defilato, si scorgono due grossi american pitbull terrier, lunghi più di un metro ciascuno, che si muovono con lentezza a bordo piscina. Sono della specie che veniva utilizzata nelle sanguinose competizioni clandestine in Inghilterra, conosciuta come bull terrier della fossa, dove questo cane era l’attore principe del palcoscenico.

Superata l’inquietudine iniziale, i quattro decidono di mantenere ancora una prudente distanza di rispetto. Mentre scandagliano l’orizzonte, un altro brivido li fa tremare di raccapriccio: a terra, vicino a quei cani, ci sono ossa e resti che sembrano essere appartenuti ad altri animali. Alcuni confidenti riveleranno che i due molossoidi, tenuti in stato di sottonutrizione per accentuarne l’aggressività, venivano nutriti con degli agnellini ancora vivi: i malcapitati venivano condotti nel cortile e gettati tra le loro fauci.

La vicenda sembra appartenere a secoli passati: animali vivi, figli del nostro tempo, che vengono dati in pasto ad altri animali, più o meno come accadeva duemila anni fa ai cristiani dentro il Colosseo, nella Roma degli imperatori. E in effetti, per certi versi, i boss del narcotraffico somigliano a dei moderni imperatori, anche se il loro potere non si basa affatto su un’investitura agita dal popolo o dal diritto, ma sulla violenza e sul denaro, che essi adoperano a seconda delle convenienze e delle necessità.

A volerlo raffigurare con uno schema semplificato, l’impero dei trafficanti somiglia a una sorta di piramide, che poggia su una larghissima base, suddivisa in due metà: una di esse è costituita dalla manovalanza che coltiva, raccoglie, raffina e protegge le foglie di coca e il loro prodotto principale, la cocaina. L’altra metà della base della piramide è invece rappresentata dagli spacciatori, i pusher, dal verbo inglese to push (spingere), perché sono proprio loro a “spingere” la vendita di dosi per le strade.

Salendo qualche gradino, al centro della piramide, ci sono gli intermediari, coloro cioè che non producono né spacciano: un livello al quale si trovano corrieri, faccendieri, funzionari corrotti, prestanome di beni o di imprese che servono al trasporto, fornitori di servizi o venditori di materie necessarie per la trasformazione del prodotto grezzo, come ad esempio i precursori chimici. Tutti coloro, insomma, che concorrono a facilitare la lavorazione e il tragitto della cocaina dai luoghi di produzione fino alle piazze di spaccio o ad occultare il denaro e i beni che ne vengono ricavati.

Ancora più su, troviamo le prime figure manageriali: mutuando dal mercato finanziario una professione resa celebre dal film Wall Street, potremmo chiamarli broker. In cosa consiste il loro mestiere? In quello che fa Claudio De Witt: muoversi a metà fra la domanda e l’offerta. Poliglotti e rampanti, abili nel tessere rapporti fra mondi diversi, lavorano 24 ore al giorno per farle incontrare. Raccolgono le ordinazioni per decine di chili, spesso quintali, provvedono a racimolare le quote di finanziamento, contattano i produttori e ordinano il quantitativo, procurando talvolta anche i mezzi per farlo giungere a destinazione. In due parole, comprano e rivendono.

Non si sporcano le mani con la produzione né con lo spaccio. Non commettono azioni eclatanti. Spostano carichi di droga abbinandoli a carichi reali di frutta o di legname, con professionalità unita a un pizzico di cinismo e nonchalance. Mandano mail, inviano messaggi, fanno videochiamate. E telefonano molto, proprio come il nostro protagonista e i suoi confederati.

Ma negli ultimi mesi anche altre orecchie hanno ascoltano le loro conversazioni: quelle dei carabinieri di Alessandro Iacovelli, l’ufficiale a capo di questa operazione. Migliaia di intercettazioni che, passo dopo passo, hanno condotto i militari nel posto giusto, al momento giusto. Lì, a un passo dall’empireo del narcotraffico, là dove siedono gli imperatori delle multinazionali della droga: non tanto e non solo dei capitani d’azienda, quanto veri e propri monarchi assoluti, forse gli ultimi faraoni rimasti in un’epoca che, almeno nel linguaggio formale delle relazioni degli organismi internazionali, esecra e isola i dittatori a capo di regimi totalitari, bollandoli come minaccia letale per le democrazie.

Il confine fra i broker e il livello superiore è sottile: spesso qualcuno di essi si distingue per intuizione e professionalità e, come nel mondo della finanza, ascende ai piani alti della holding, guadagnandosi una poltrona da amministratore delegato o perfino da socio dell’impresa. Qualcun altro viene nominato capo contabile e quindi incaricato degli investimenti e della ripulitura del denaro. A ogni livello è comunque riscontrabile la presenza di sicari e uomini d’ordine, usati come esecutori dei comandi di tipo militare: punizioni, ricatti, sequestri, omicidi.

Torniamo ad Ardea. C’è frenesia: Claudio De Witt fa capolino da una finestra, si guarda intorno. Pare intuire qualcosa. E allora i carabinieri decidono di entrare, con una di quelle irruzioni talmente assurde da meritare l’oblio degli atti giudiziari. Lui intanto corre, briga, ansima. Non si dà pace. Non riesce proprio a sopportare l’idea di essere catturato come uno qualunque. Lui, uno dei protagonisti della narcoguerra che ha brutalizzato Roma in quegli anni.

Sono le 13, cala il game over: il cerchio si chiude e De Witt viene ammanettato. L’organizzazione di cui era a capo acquistava la droga in Spagna, circa 30 chili di cocaina alla settimana, e la importava in Italia via mare. “Ma quando il trasporto via mare era impossibile da realizzare, si utilizzavano macchine a noleggio. I due capi del braccio di Roma sud-est della banda, ovvero Claudio de Witt e Giorgio Fabri, si recavano direttamente a Barcellona per il ritiro della merce”, si dirà in conferenza stampa.

Figlio del tedesco” (soprannome con cui si è fatto conoscere Italo, padre del narcotrafficante e protagonista in passato di colpi epici che lo hanno reso un mito tra i cassettari capitolini), Claudio De Witt era stato arrestato qualche mese prima all’esito di una bella indagine dei carabinieri di Frascati. In seguito a presunti problemi di salute, era stato trasferito dal carcere in detenzione domiciliare presso una comunità terapeutica sulla Prenestina, da cui però era evaso.

Un suo vecchio vizio, la latitanza. Come Arsenio Lupin, da sempre ricercato ma capace, in modo scaltro e geniale, di garantirsi la clandestinità nello stesso territorio della Capitale dal quale non si allontanava mai e dove evidentemente godeva – e gode – del supporto della malavita locale. Tra potere e ricchezza, come tutti gli imperatori che basano la propria industria sulla capacità di muovere cocaina. O bamba, termine gergale nato accorciando il nome della località di Cochabamba, da dove si dice provenga la cocaina di qualità migliore.

Leggendo le carte di alcune inchieste condotte da Iacovelli, ho appreso quanto la fantasia di certe filiere sia oltremodo fiorente: bamba, ma anche cocco, gesso, farina, polvere d’angelo, dinamite, granita, blanca, cubaita, boliviana. E ancora polvere di stelle, bonza, o perfino piscia di gatto, barella, svelta. C’è chi battezza pure le dosi, un pallino o un boccino, dalla forma sferica in cui talvolta vengono vendute. I trafficanti più prudenti, invece, parlano genericamente di merce, come se fosse un prodotto qualsiasi.

Fantasia e realtà, due emisferi eternamente in conflitto: la prima costruisce castelli incantati, la seconda puntualmente li distrugge.

Questa storia è liberamente ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto. Si tratta della cattura del latitante Claudio De Witt, avvenuta ad Ardea (RM) il 26 novembre 2011, ad opera dei carabinieri Alessandro Iacovelli, Antonio Carulli, Antonio Criscuolo e Elpidio Sorbo.

Dal blog Notte Criminale.

Sostieni la Provinciaonline

Il nostro giornale è libero da influenze commerciali e politiche e così vogliamo restare. Voi con il vostro piccolo aiuto economico ci permettete di mantenere la nostra indipendenza e libertà. Un piccolo o grande aiuto che permetterà alla Provinciaonline di continuare ad informarvi su quello che tanti non vogliono dirvi. Clicca qui e aiutaci ad informare ⬇️.

Articoli recenti

Rubriche