Il termine meraviglia deriva latino mīrabĭlia (che letteralmente significa: “cosa
meravigliosa”) e ha la stessa radice di miraculum. È “miracoloso”, infatti, tutto
ciò che ci meraviglia, tutto ciò che esce dai paradigmi della nostra
quotidianità e, soprattutto, del nostro schema interpretativo della realtà e
diventa vivo e pulsante di energia, novità e bellezza.
Per questa via, la meraviglia va considerata nella sua intima natura
prodigiosa; miracolosa, appunto.
Orbene, se consideriamo un luogo (in questo caso, il giardino) non solo come
uno spazio fisico e fruibile, ma anche nel suo insieme di qualità, nel suo
essere un habitat, ecco che quel quid (luogo nella sua accezione di habitat)
pluris (ossia la meraviglia nella sua accezione miracolosa) che sancisce
l’intima identità del un luogo, finisce col determinare il nostro rapporto con
esso.
Vi sono luoghi ameni e spensierati, luoghi cupi, luoghi di gioia e di spazio
sacro, luoghi funerei e tragici, luoghi impervi, incantati, misteriosi, segreti,
solitari e vi sono perfino i non luoghi.
I luoghi hanno anche età diverse e, alcuni, sono impregnati e carichi del loro
stesso vissuto, in essi, dopo un po’ che li si abita, l’immaginazione inizia a
rispondere. È questo ciò che accade quando animi sensibili e artistici si
connettono e si relazionano con il Palazzo Allocca e il giardino -delle
meraviglie- di Saviano.
Qui la storia del luogo è divenuta essenza del luogo stesso e l’immaginazione
che in esso si immerge inevitabilmente si confronta e diventa strumento di
espressione di esso. Raccontare un luogo, in questo caso, è un lavoro di pura
maieutica, poiché esso comunica ed esprime se stesso, la propria miracolosa
meraviglia, attraverso il sogno dell’artista che vi entra in contatto.
Il meraviglioso giardino è, quindi, il dentro del luogo, ‘Il Gardino delle
Meraviglie’, poiché in esso avviene lo stupefacente incontro con l’anima del
luogo (come Hillman ci insegna).
E quest’anima, collegata alla storia di Pietro Allocca, che qui ebbe a vivere la
propria infanzia, nell’orfanatrofio a cui era, appunto adibito il palazzo,
impregna di gioia e tristezza insieme, ogni pietra, ogni anfratto; ogni fruscio di
foglia la sussurra; essa aleggia nell’aria e ovunque infonde i propri effluvi