NAPOLI. DuePenelopeUlisse di Pino Carbone, un incontro-scontro a teatro tra i due grandi protagonisti dell’epos, in scena al Piccolo Bellini, dal 31 ottobre al 5 novembre.
Gli eroi nell’antichità erano i privilegiati che la dea ananke risparmiava dalla morsa delll’oblio. A pochi veniva elargito il sacro privilegio della memoria, di sopravvivere simbolicamente alla morte biologica. E se tutti gli uomini nascono ignoti solo agli aedi è dato il discrimine che sottrae i prescelti alla ciclicità dell’esistenza. Ma quale destino tocca invece ai “minori”, qualcuno darà ad essi il giusto posto nella storia? Chi li salverà dalle ombre amorfe dell’ Ade?
DuePenelopeUlisse lo spettacolo andato in scena al Piccolo Bellini in replica sino a novembre, coglie il tema problematico della “discriminazione letteraria” in una dimensione mitica prettamente maschilista. Un totale capovolgimento dei punti di vista e del ruolo dei personaggi focalizza l’attenzione sull’eroina minore. La platea questa volta non si domanderà come riuscirà a tornare a casa l’astuto Ulisse ma, cosa ha fatto nel frattempo colei che lo attende? Come si salverà dalla “legge della foglia” che rende gli uomini destinati a rimanere ignoti?
All’arrivo di Ulisse colei che da tutti è conosciuta come “la saggia Penelope”, non abbraccia il suo amato di ritorno a casa, ma violentemente si scaglia contro di lui accusandolo di averne fatto uno “stereotipo”. Nessuno si è preoccupato di lei, nessuno ha parlato della follia nella quiete di un talamo dove ha trascorso sola le notti insonni con il suo bambino in grembo, dell’interminabile attesa di un amore perduto. Attacchi di panico, le cure dei medici, lo sguardo fisso fuori una finestra mentre in lontananza non arriva nessuno e lentamente scorrono i granelli del tempo infinitesimali che solcano il viso. Il tedio ha un volto ben più desolato di un’isola deserta in cui tutto sommato tra scherzi ai Ciclopi e i dispetti di Poseidone, Ulisse trova anche il tempo per divertirsi con Calipso e Circe.
Questo è quanto gli rimprovera Penelope folle di gelosia. Un incontro-scontro pubblico-privato tra i due personaggi che hanno scelto di abbandonare la dimensione mitica per la abitare un territorio neutrale, quello del teatro che, trascurando le imprese e negando i topos, lascia spazio alla dimensione tutta mentale e psicologica.
Ma le trame che tesse e disfa e poi ancora ritesse fino alla noia la folle Penelope sono le trame della scrittura. Le lettere d’amore, di delusione e disperazione sono un dialogo intimo tra sé e l’amato. E se Il telaio che storicamente la tradizione figurativa descrive come il primo della storia si trasfigura nella rilettura moderna come la penna che scrive e cancella, Penelope diviene la prima eroina della vita che redige il suo romanzo autobiografico di donna e madre. E non importa se Omero non le dà il giusto spazio nella memoria perché è lei stessa ad appropriarsene e a rivendicarlo con la sua penna. Penelope declassa Ulisse da eroe a pagliaccio, incapace di essere uomo, padre e marito.
Cosa provano Penelope e Ulisse quando si rincontrano?
Si rincontrano e danno per scontato che sono marito e moglie, ma in realtà non si riconoscono quindi devono subito fare uno sforzo per conoscersi di nuovo. Entrambi hanno vissuto un’Odissea, devono scavalcare un po’ di passaggi, di filtri, e quindi avviene lo scontro, l’indagine, la messa in discussione. È lo sforzo di rincontrarsi sul serio. E questo deve passare attraverso un altro momento dell’Odissea. Si tratta ovviamente di un’idea intima, privata, contemporanea.
Quale ruolo viene dato al mito e all’eroe nella rilettura contemporanea?
Il mito o l’eroe quando prova ad esserlo diventa clown. L’essere eroe per Ulisse non funziona più ed è Penelope a metterlo in crisi. Funziona il rapporto, il guardarsi, il toccarsi, il dialogo. Quando il testo diventa monologo è eccessivo, esagerato.
Qual è la valenza della sua intrusione nel lavoro quasi come una sorta di deus ex machina?
L’idea è quella di analizzare insieme, determinare. Si tratta di un gioco sulla psicologia di un uomo e una donna che scelgono di ritrovarsi. Quindi mi sembrava giusto in questo caso essere presente e aiutare la dinamica teatralmente, creando un contesto. Il lavoro è ambientato in teatro, dove i due personaggi accettano la condizione di incontro pubblico anche se intimo. La mia presenza “da fuori” determina i momenti o li censura in un contesto recintato dove poter fare dei tentativi. I sono fuori perché sono con il pubblico, dalla parte di chi sta osservando e cerca di capire. Cerco in qualche modo di intervenire laddove i personaggi ne hanno bisogno o forse dove non ne hanno bisogno ma, in qualche modo per metterli in difficoltà, far toccare loro delle particolari corde. La mia presenza vuol essere uno “stare sugli attori” sui loro impatti emotivi perché ho ritenuto fosse un altro momento intimo dell’impatto teatrale su cui gettare luce. È un gioco da svelare, è realmente un momento intimo.
Come mai questa sua passione per il mito?
Credo che nel mito ci sia tutto quello che c’è da raccontare, poi la questione diventa come raccontarlo.
Penelope cerca di contrastare una visione del mito maschilista?
Certamente è proprio quello che Penelope cerca di fare insieme a tutto il lavoro, la contemporaneità ha la possibilità di discutere su questo aspetto.
Quali sono i modelli ai quali si ispira nel modo di condurre la regia e chi sono i maestri che odia ma dei quali non può fare a meno?
I modelli ai quali mi ispiro sono molti. In particolare i maestri che odio sono quegli artisti particolarmente bravi che diventano a loro insaputa miei maestri. Sono io che li rendo dentro tali e in quel momento nel momento probabilmente li odio anche un po’, perché avrei voluto avere io quell’ idea, quell’ intuizione o quel modo di lavorare.
DuePenelopeUlisse è una interessante rilettura dell’Odissea mediante il capovolgimento dei punti di vista. Nella dimensione drammaturgica Penelope si libera dallo stereotipo di un mito maschilista. Diventa una guerriera della vita che si destreggia tra gli aedi con le armi della scrittura, per combattere la serialità dell’esistenza.
È l’eroina occidentale che si emancipa nel teatro in una dimensione sovrumana per scrivere il suo posto nella storia.
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