C’è una nuova tecnologia che minaccia la privacy di tutti: viene definita deepnude e si tratta di un programma che utilizzando l’intelligenza artificiale è in grado di spogliare una persona a partire da una normale foto in cui è vestita. Non si tratta di un semplice fotomontaggio perché le potenzialità di questa tecnica vanno ben oltre. Partendo da un innocente foto o video in cui la vittima è vestita, si riesce a spogliarla con dettagli davvero molto realistici e impossibili da identificare per un comune utente.
Lo scorso 23 ottobre il Garante della privacy ha aperto un’istruttoria nei confronti di Telegram dove era possibile trovare quel bot che generava deepnude ed è stato ovviamente spento. Tuttavia il lato oscuro della tecnologia non si è ovviamente fermato. Infatti in poco tempo sono nati tanti siti e applicazioni che producono il medesimo risultato.
Deepnude: un preoccupante vuoto normativo da “riempire”
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.”
Si tratta in sostanza della normativa che punisce il revenge porn. Tuttavia se invece di divulgare un video o una foto reale del partner, viene diffuso il materiale generato con deepnude, questo NON rientra nella fattispecie del revenge porn. Il colpevole infatti potrebbe potrebbe essere punito per violenza privata o diffamazione che prevedono pene decisamente più leggere rispetto al revenge porn, nonostante il danno per la vittima sia praticamente lo stesso.
Il problema è nato perché quando fu introdotta la legge sul revenge porn non esisteva ancora il fenomeno del deepnude. Per risolvere questo “buco nero normativo” si dovrebbe introdurre all’interno della “norma revenge porn” il concetto di deepnude virtuale, cosi come avviene anche nel settore della pedopornografia dove lo scambio, la creazione e la divulgazione di foto di minori virtuali è un reato al pari del compimento “materiale” del reato.
Ancora una volta non si può che rilevare come l’ambiente digitale necessiti una regolamentazione a sé stante, per quanto la dottrina più “classica” si ostini a ritenere che si possa continuare ad incasellare in ipotesi pensate per la vita “reale” a situazioni ideate, nate e cresciute del tutto in ambiente digitale e sviluppate, addirittura, con intelligenza artificiale.
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