Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata in redazione da Salvatore Vecchione: “Il vetro appannato”.
“Considerazione più e meno breve ai tempi del coronavirus.
Nonostante l’informazione precisa, puntuale, sistematica e talvolta asfissiante, ho la sensazione che siamo ancora distanti dal capire la realtà delle cose.
Ho l’impressione, che non abbiamo ancora la consapevolezza della criticità della situazione. Per la prima volta, ieri sera, ho capito quanto l’informazione non riesca ancora a responsabilizzare ed a trasmetterci la drammatica realtà di ciò che sta succedendo. Flash mob, canzoni, balletti e tarantelle, servono sì, ad esorcizzare la paura, ma credetemi, in questi casi la paura ci serve, è l’unica cosa che puoi renderci consapevoli e responsabili. L’ho capito ieri sera, dopo una lunga drammatica telefonata con un caro amico imprenditore di Treviglio, presidente di un gruppo leader nella produzione di sistemi d’allarme, di quel nord-est da sempre laborioso e rispettoso delle regole, ma ora in ginocchio.
Ho riflettuto, ho pianto ed ora ho paura.
Mi raccontava di scenari surreali, persone che muoiono come mosche, vicini di casa, amici, parenti, tutti morti senza conforto, tutti morti in forma anonima, seppur con nome e cognome.
Mi raccontava delle tante aziende costrette a fermare la produzione, dei dipendenti con gli occhi pieni di paura, di uno stato, che al di là dei proclami e dei decreti in diretta tv, nulla sta facendo per aiutare economicamente le imprese.
Con la voce rotta mi raccontava di ospedali pieni, dello smarrimento di un intero paese, in preda al panico e alla disperazione, mi raccontava, con rassegnazione, dell’incessante dispiegarsi delle sirene delle autoambulanze, che non smettono di suonare da dieci giorni, come un pianto, continuo, inarrestabile.
Arrivano come degli alieni, prelevano persone delle quali nulla più si saprà, se non un triste trafiletto nella pagina dei necrologi. Tutti i giorni da due settimane.
“Salvo, – mi dice -, non pensavo di assistere e resistere a tanto dolore, non so se ne verremo fuori, non so come, non so quando”.
Oggi ho paura perchè sono consapevole del fatto che non siamo strutturalmente efficienti e ordinati per affrontare una pandemia del genere.
Ho paura, perchè quel senso di superficialità, di non rispetto delle regole, ancora in questo giorni, diventa occasione di vanto e non di vergogna.
Ho paura perchè, appena quel vetro tornerà trasparente, forse sarà troppo tardi, e quel dispiegarsi di sirene ci riporterà ad una realtà nitida e drammatica.
L’ho abbracciato forte, seppur virtualmente, e ci siamo ripromessi di vederci quando tutto sarà finito, come facevamo spesso, anni fa, nel laborioso e ordinato nord-est.
Ad maiora semper, Flavio. “
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