Tre atti ottimamente orchestrati dal Regista/Attore Sebastiano Franco Ascoli, nell’intento di recuperare costumi e tradizioni del primo novecento e non per produrre momenti di ‘forte ilarità’, come potrebbe succedere per l’inattualità degli argomenti trattati e delle situazioni descritte, accendendo la miccia che esplode in un realismo esasperato, un linguaggio scurrile, espressioni forti, ambientate in contesti ‘al limite’, nel quale lo spettatore si vede ‘tormentato’ tra il lodare il ben riuscito tentativo di rappresentazione messo in atto dalla bravura degli attori o di rabbrividire per quanto scagliato senza alcuna riverenza verbale alle proprie orecchie e mostrato brutalmente ai propri occhi, soprattutto nell’episodio del terzo atto, ‘Ammore e Mamma’.
Da apprezzare è il tentativo di voler far ‘sorridere anche in situazioni estremamente drammatiche come la morte, la fame, la disperazione’, componenti succedutesi in rapida successione con ‘E’ Morta Muglierema’, ‘Miseria Bella’ ed il già citato Ammore e Mamma’. E per questo, da quanto leggiamo nella nota della regia, si è scomodato anche il famoso Baumarchais che affermava: “Affrettatevi a ridere di tutto, per la paura di essere costretti a piangerne”.
‘E’ Morta Muglierema’ è liberamente tratto da un dialogo di Raffaele Viviani presentato nel 1935 senza essere mai più riproposto in futuro. Questo primo atto è forse il più vicino alla realtà ‘paesana’ che perdura ancora nelle piccole comunità. Con la morta in casa, portate ai familiari le dovute condoglianze, dai modi anche strazianti, si passa con estrema naturalezza alle maldicenze di vario genere quali le ‘corna’ prodotte dalla stessa e quelle ben note del circondario, tentativi di affari da concludere, il languore di stomaco dopo una giornata di lavoro … fino all’approccio finale del ‘fresco’ ma ‘caldo’ vedovo che cerca subitanea consolazione con la commara anch’ella senza marito, in nome del dolore e della disperazione che ‘nun me fa raggiunà!’. Neanche le donne ‘fittate’ per le preghiere rivolte alla deceduta vengono fatte mancare ad una tradizione ormai scomparsa!
Due artisti squattrinati ed affamati danno vita al secondo atto, ‘Miseria Bella’ di P. De Filippo, ‘scelto e proposto con originali contaminazioni, in quanto ben si accorda con gli altri due momenti teatrali, sia per l’intrinseca originalità, sia per i temi trattati: Fame e Miseria’. Alle condizioni già tristi e disperate si aggiungono le contrarietà dovute alla distrazione di un malaticcio committente che dimentica il portafoglio per l’anticipo dell’ordine del busto dell’amata moglie. E la vanità della bella figlia del barone che in un’improvvisata nello pseudo studio, racconta, tra l’altro, che il padre, contrariamente a loro, ‘schiatta’ dal troppo mangiare al punto da essere costretto ad ingozzarsi ulteriormente di cioccolatini purganti, i quali, ironia della sorte, per un disguido finiscono malauguratamente nelle vuote pance dei due malcapitati, – che niente avevano da defecare! – già ampiamente provati dalla dettagliata descrizione del pranzo che la prosperosa portiera aveva preparato per se, il marito e persino per il cane!
Un monologo di Concetta Barra da lo spunto all’argomento del terzo atto, “Ammore e Mamma”, che posa la propria tematica sull’ininterrotto pianto di un bimbo, surclassato dal linguaggio ‘vero’ del ‘popolo dei vasci’, arricchito da continue invettive che si scagliano contro l’un l’altra, senza ritegno alcuno, gli sciagurati membri di una famiglia che infanga tale nome con comportamenti ed accuse reciproche che concederebbero volentieri il lasciapassare per l’aldilà! ‘Un momento teatrale estremamente esilarante” che se da un lato non ha mancato di suscitare la risata del pubblico, visto da ottica diversa, ha potuto anche lasciare l’amaro in bocca ai numerosi giovani che affollavano la sala, benché loro stessi in lotta per problematiche sociali che poco hanno da invidiare all’aspetto ‘vasciaiolo’ della recita. Come a dire, ogni epoca, ogni situazione, ogni età, ha le sue gatte da pelare!
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