giovedì 21 Novembre 2024
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Addio Silvio, nessuno ci ha fatto litigare come te

di Vincenzo Famiglietti

La dipartita di Silvio Berlusconi scava un solco ancor più profondo fra cuori ed idee dei connazionali. Eccole ancora una volta due fazioni a confronto, anche a muso duro: quelli che lo piangono, lo stimavano, anzi lo adoravano, i fedelissimi incalliti. Per contro i detrattori, che in queste ore non risparmiano certo parole pungenti per non dire crudeli all’indirizzo dell’ex Presidentissimo.
Un dato è certo, lo dice la storia che è spesso lapidaria: nessun leader politico nella storia dell’Italia, dalla Repubblica in avanti, ha mai diviso umori e passioni del popolo quanto Silvio. Un personaggio che è stato elemento di rottura netta e mai di unione, di polemiche roventi giammai di unità d’intenti. Lui allontanava le persone, le relegava in clan. Due agli antipodi.
Un divisore, provocatore, istrionico, imprevedibile, dissacratore, furbo, goliardico, spesso sopra le righe, non basteranno tutti gli aggettivi di un vocabolario per descrivere nei meandri del suo smisurato Ego cosa sia stato, e quale sia stato, Silvio Berlusconi.
Innanzitutto un grande seduttore. E non ci riferiamo solo ai tanti amori e flirt che le cronache rosa gli hanno attribuito nei suoi anni in prima pagina. Ma alla sua ineguagliabile abilità di attirare su di sé attenzioni e simpatie di una folla molto eterogenea e per età e soprattutto per classi sociali. Silvio uomo da copertina, questo era il suo motto. Che si dovesse sempre parlar di lui, nel bene ed anche nel male, purché se ne discutesse e lui fosse sempre al centro dell’attenzione mediatica. Pur nel mirino di critiche taglienti gli andava di lusso, ma che ci fosse. Lui e sempre lui. Difatti, Silvio in prima lo è sempre stato, preferibilmente e il più delle volte, in apertura dei giornali, a volte in taglio basso o di spalla. Ma mai relegato nelle ultime pagine. Almeno dai tempi nell’Eldorado politico, sino a qualche anno fa, quando poi la sua carriera ha imboccato il viale del tramonto, rotolata in un ruolo di secondo piano che lo mandava fuori dai gangheri. Seduttore? Certo, grandissimo. E trascinatore di masse. Un fuoriclasse nell’ipnotizzare il popolo. Nel far credere che lui solo lui potesse trasformare in realtà i programmi più impossibili. Ed irrealizzabili. Un Rodolfo Valentino del grande schermo, con una platea dal cuore troppo tenero e credulone. Che finiva presto per innamorarsi delle sue ferree convinzioni e dei propri ideali, ai quali lui per primo non è che ci credesse in fondo più di tanto.
Berlusca straparlava in televisione, preferenza alle sue reti. E quando si recava in qualche salotto, talk show della tivvù di stato, il più delle volte ad intervistarlo c’erano giornalisti e conduttori compiacenti, intimiditi dalla sua ingombrante figura, delicati e sensibili dinanzi al suo indubbio carisma, pure troppo.
Costoro offrivano blandi contradditori, dribblavano con estrema prudenza ogni domanda scomoda. Scolpite nella leggenda la serata da Bruno Vespa per il “Patto con gli Italiani” e i suoi monologhi dal dipendente Maurizio Costanzo.
Il Berlusca la sapeva lunga su come fare tv e sul come infatuare gli ignari telespettatori. Era un genio nella comunicazione. Lei che grazie alle leggi craxiane potè per la prima volta rompere il monopolio informativo della Rai. E questo gli va attribuito alla voce meriti. Prima che scendesse in campo, ovvio, da allora in poi i suoi canali si trasformarono, tranne rari casi, in strilloni elettorali.
Ma quali mezzi usò questo playboy della politica per attirare tanti consensi da permettergli di governare il paese per circa tre lustri?
Scrisse a tal proposito un noto sociologo inglese “Berlusconi incarna tutto ciò che ogni italiano vorrebbe essere. E quando è tempo di elezioni lui parla al piccolo Berlusconi che gravita nell’animo di ogni italiano e lo risveglia, lo incanta, lo spinge alle urne”. Verissimo. Il Silvio aveva capito bene cosa piacesse agli italiani, come ammaliarli con quel suo sorriso da buontempone, antitetico ai papaveri un po’ fuori moda e seriosi della sinistra. La sua immagine era sfavillante, brillava di luce propria. Il classico imprenditore di successo fattosi da sé, non il borioso figlio di papà, amante delle belle donne, estroverso, allegro, scanzonato burlone, appassionato di calcio. Viveur al quale in pochi, almeno nei suoi primi anni in politica, sapevano resistere. L’uomo medio italiano, meglio se non troppo acculturato, rimaneva folgorato dalle sue parole, dal mito che egli stesso, Silvio, si era costruito addosso. Molti maschi sognavano di esser come lui, ricco, famoso, e soprattutto incallito donnaiolo. Un Re Mida che qualsiasi attività intraprendesse la trasformava in oro e successi. In 31 anni alla presidenza del Milan ha collezionato ben 31 trofei, un record da guinness. E le donne? Altrettanto sedotte, dal rampante maschio alfa degli affari. In poche non avrebbero fatto carte false per un invito a cena.
In apertura si è detto della netta spaccatura che Berlusconi creò in Italia. Un bipolarismo netto e crudele, del tutto estraneo alla nostra scena politica. Lo scenario era il seguente: con lui o contro di lui. Non esistevano vie di mezzo. Se non eri un suo fan automaticamente ti si dava del comunista. Non si poteva più esser di destra se no forzisti, e allo stesso tempo un suo oppositore non poteva scrollarsi di dosso l’etichetta di orco rosso, mangiabambini. Non esistevano più vie di mezzo. Guelfi contro ghibellini all’ombra di un sofferente e tricolore. Due fazioni quotidianamente antagoniste e pronte a beccarsi di santa ragione, negli uffici, alle feste, al bancone del bar, in serata aperitivo.
Ed ora che se n’è andato, quest’Italia resta spaccata in due, fra chi ha un magone dentro e quelli che sotto i baffi bofonchiano un cinico me ne frego.
Di certo, Silvio Berlusconi porta con sé, nella sua sfarzosa area sepolcrale della villa d’Arcore, tanti segreti e misteri irrisolti.
Ormai è noto che scese in politica per risanare la voragine debitoria del gruppo Fininvest e per dribblare guai giudiziari in arrivo. Restano dubbi inquietanti sui mai chiariti e misteriosi aumenti di capitale delle sue aziende (soldi riciclati della mafia?, ndr), sul presunto incontro alla fine degli anni settanta a Milano con Stefano Bontade all’epoca esponente di spicco delle cosche siciliane, il ruolo di Mangano e le amicizia sospette di Dell’Utri.
Il più grande è inquietante resta però l’omicidio di Paolo Borsellino nell’attentato di Via D’Amelio. In molti sostengono che il magistrato palermitano stesse indagando proprio sul Berlusca e su alcune transazioni finanziarie riconducibili alla Fininvest.
Erano questi i lati più imbarazzanti della vita politica e imprenditoriali del Silvio nazionale, poi invece incriminato ed esposto alla pubblica gogna per qualche serata hard con giovani ragazze. Bazzecole in confronto al sospetto che a guidare l’Italia per 15 anni ci fosse stato un personaggio finanziato ed appoggiato dai mandamenti mafiosi. Ma come da falso moralismo tipico del Belpaese, la mentalità più diffusa è quella del buoncostume, del perbenismo, dello scandalo sessuale che irretisce più dei delitti e reati da codice rosso.

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Vincenzo Famiglietti
Vincenzo Famiglietti
Ha iniziato la carriera giornalistica a metà degli anni novanta presso il quotidiano sportivo, di breve vita, Sport in Campania, per poi approdare alle redazioni della Verità-Napoli più e successivamente del Corriere del Pallone. Negli anni più recenti ha collaborato per varie testate on line, scrivendo di sport, costume, politica interna ed estera, spettacolo e dei temi più disparati. Si reputa un giornalista completo, versatile nel trattare argomenti di vario genere. E’ spesso ospite come opinionista in molte trasmissioni sportive locali. Ama definirsi una “penna tagliente”, spesso anticonformista e in controtendenza, poco politically correct, sempre impegnato alla ricerca di verità scomode.

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