Napoli. Dopo San Gennaro non dice mai no, pubblicato nel 2020, la Polidoro editore continua il progetto di riscoperta di uno dei protagonisti del Novecento italiano, un grande autore per troppo tempo dimenticato: Giuseppe Marotta.
Il 6 luglio torna in libreria – con la prefazione di Goffredo Fofi – Gli alunni del tempo, romanzo pubblicato nel 1960 e vincitore nello stesso anno del Premio Napoli. Vito Cacace è l’unico di via del Pallonetto, a Santa Lucia, a comprare il giornale ogni mattina. L’accanito lettore ogni giorno si procura la sua copia,
prepara il caffè, e si siede sull’uscio del suo basso per commentare col
vicinato quello che ha letto. Ogni giorno, che piova o ci sia il sole, che sia estate o inverno, tra quei vicoli di Napoli nasce un dialogo serrato che ha come tema centrale i fatti del mondo. Politica locale e internazionale, religione, cronaca nera o passionale, pettegolezzi mondani e scienza moderna vengono passati al vaglio degli abitanti del quartiere quasi come fossero fiabe arrivate da lontano, di cui dibattere il senso, la veridicità, la meraviglia. Riprendendo lo schema narrativo già sperimentato ne Gli alunni del sole, con questo romanzo Giuseppe Marotta raffigura, attraverso la voce del popolo e
con una scrittura cruda e ironica, l’Italia meridionale del dopoguerra.
A noi toglieteci dallo stomaco il tam tam selvaggio dell’appetito, e subito ci fabbrichiamo una garitta di paradiso in qualunque inferno.
L’autore
Giuseppe Marotta (Napoli, 5 aprile 1902 – 10 ottobre 1963) è stato un
giornalista, scrittore e sceneggiatore italiano.
Nato a Napoli da una famiglia della media borghesia originaria di Avellino, fin dall’adolescenza dimostra un vivo interesse per la letteratura e la musica, leggendo e studiando, da autodidatta.
Si trasferisce sin da giovanissimo a Milano per intraprendere la carriera di giornalista. I primi tempi non sono certamente facili e per un periodo è costretto a dormire sulle panchine di un parco.
Inizia a farsi strada lavorando come redattore prima da Mondadori e poi da Rizzoli. Scrive intanto per diverse testate, tra cui «La Stampa», e la sua penna non passa inosservata: viene notato da Aldo Borelli che gli apre le porte de «Il Corriere della Sera», collaborazione che durerà, seppur a fasi alterne, quasi tutta la sua vita.
Spirito libero e scrittore prolifico, non interrompe mai la collaborazione con altri giornali, scrivendo articoli, novelle, romanzi a puntate e commedie. A metà del Novecento, inizia a lavorare come sceneggiatore, scrivendo soggetti e sceneggiature per il cinema e il teatro, collaborando con i più grandi di quel tempo: De Feo, De Sica, Zavattini, Soldati, De Filippo, Giannini. Tutto questo lo porta ad approcciarsi anche alla critica cinematografica, scrivendo
recensioni per «L’Europeo». La sua Napoli, mai dimenticata, è al centro della produzione narrativa, su cui si concentrerà maggiormente dagli anni Quaranta in poi. Dopo una serie di romanzi e novelle umoristiche – spesso pubblicati prima a puntate sulle riviste e poi in volumi unitari – incontra il successo nel 1947 con la pubblicazione de L’oro di Napoli, da cui Vittorio De Sica trasse l’omonimo film nel 1954, con sceneggiatura scritta dallo stesso Marotta insieme a
Zavattini. La sua produzione può dirsi sconfinata: romanzi, novelle, saggi, commedie, sceneggiature e soggetti per il teatro e il cinema, senza dimenticare la fittissima produzione giornalistica.
Nel 1954 vince il Premio Bagutta per il romanzo Coraggio Guardiamo e nel 1958 vince il Premio speciale Viareggio per Marotta Ciack. Nel 1961 vince uno dei premi giornalistici più importanti, Il Premiolino.
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