SOMMA VESUVIANA. Archiviazione, è la parola che pone fine al procedimento che aveva visto coinvolto Francesco D’Avino conosciuto come Franco, ritenuto dagli inquirenti all’epoca del suo arresto, un elemento di spicco nell’omonimo clan. Il D’Avino fu arrestato nel maggio del 2016 nel corso dell’operazione “Blusky”, che portò ben ventuno ordinanze di custodia cautelare. Le persone coinvolte finirono in carcere con l’accusa, a vario titolo, di far parte dell’egemone clan che “operava” tra Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, diretto presumibilmente da Giovanni (detto o’ Bersagliere) fratello di Franco. “Presumibilmente” perché per lui si attende la sentenza di appello, prevista per gli inizi di febbraio. Ma i legali della famiglia ci tengono anche a sottolineare che in un procedimento conclusosi con una condanna al tribunale di Nola i giudici hanno precisato che “Non esiste, alla luce dell’istruttoria dibattimentale, alcun clan D’Avino e che Giovanni D’Avino non ha agito nell’interesse di nessun clan camorristico”.
Franco D’Avino, all’epoca dell’arresto, doveva rispondere di associazione a delinquere di tipo camorristico, ma il tribunale del Riesame già nel mese successivo all’ordinanza di custodia cautelare, accolse la linea difensiva portata avanti dagli avvocati Salvatore Di Sarno e Sergio Morra, quindi fu scarcerato in attesa di processo. Nella prima ricostruzione, fatta dal Pm Gianfranco Scarfò, Franco D’Avino era ritenuto un anello di congiunzione nella “pratica estorsiva” del clan. Ma alla luce degli elementi raccolti dal suo avvocato Salvatore Di Sarno, e presentati poi al Pubblico Ministero e al Gip si è deciso di procedere con l’archiviazione in quanto non sussistono elementi validi a sostenere la tesi che D’Avino facesse parte del clan guidato dal fratello.
La richiesta, presentata dal Pubblico Ministero nell’ottobre del 2017, chiedeva l’archiviazione in quanto non sussistevano validi elementi per sostenere l’accusa di essere componente “di spicco” del Clan D’Avino diretto dal fratello Giovanni (per quest’ultimo si aspetta febbraio) e di non esserci elementi validi da sostenere per l’imputato l’accusa estorsiva. Tesi difensive che hanno convinto prima il pm che ha chiesto “l’archiviazione del procedimento” e poi il Gip Rosaria Maria Aufieri che l’ha accolta e disposta.
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