A grande richiesta da parte della città di Napoli, “Parenti Serpenti” ritorna all’Augusteo. La pièce sarà in scena sino al 21 gennaio 2017.
Lo spettacolo è la trasposizione teatrale dell’omonimo film, scritto da Carmine Amoroso e diretto dal regista Mario Monicelli nel 1992.
“Considerando il grande successo del film – rivela Lello Arena, che interpreta il ruolo di Saverio, il protagonista – abbiamo voluto provare a portarlo anche a teatro. L’idea di raccontare nuovamente questa storia col mezzo che le era stato destinato originariamente dal suo autore ci è sembrata giusta e doverosa”, prosegue Arena.
Una commedia che racconta la crisi della famiglia moderna, uno spaccato contemporaneo dei problemi degli affetti più intimi, dei legami tra genitori anziani e figli che stentano a prendersi cura di loro, fino ad arrivare ad una macabra e terribile decisione.
A volte anche i parenti si rivelano degli estranei, sebbene abbiano legami di sangue. Sembra essere questo il messaggio dell’autore.
Un tema attualissimo dunque, il cui racconto è affidato nel film di Monicelli ad un bambino. Qui, nella versione teatrale del regista Luciano Melchionna la voce narrante è quella del “bambino”: il nonno Saverio (Lello Arena), protagonista della piece teatrale. La demenza senile e lo stupore, la gioia del bambino si fondono assieme, passando attraverso l’età adulta caratterizzata da uno sguardo critico e lucido della realtà.
“E’ stata una sfida bella, incredibile e avvincente, ma allo stesso tempo complicata” – ci dice Melchionna. “Mi spaventava enormemente perché confrontarsi con un grande come Monicelli non è cosa semplice.” “Lello si è prestato con una dedizione totale. Ho scelto gli attori attraverso dei provini perché li volevo perfetti, non che ricalcassero pedissequamente, facendo una sorta di macchietta, gli attori del film. Pur avendo visto la pellicola a suo tempo non l’ho voluta riguardare; mi sono dedicato al testo aggiungendo alcuni passaggi, personalizzandolo e attualizzandolo” – conclude il regista.
Risate, lacrime e poetica delle emozioni: il teatro non è solo un luogo di intrattenimento per farsi grasse risate altrimenti si esce dalla sala “vuoti” in un certo senso. È molto più interessante lasciar cadere una lacrima assieme ad una risata e portare a casa una riflessione, un messaggio. La funzione catartica dell’arte drammaturgica, ovvero di immedesimazione dello spettatore nel dramma dei personaggi, che poi è il vero valore dell’arte.
Un racconto dei legami familiari che molto spesso si reggono sull’ idea di essere legami di sangue. Ma non basta.
I rapporti umani vanno alimentati e supportati dall’amore, che è il motore del mondo, dall’ascolto, dal confronto, dallo scambio. Un classico della commedia all’italiana, approfondita con introspezioni psicologiche, monologhi e flussi di coscienza. Lo spunto di riflessione per un pubblico che ride ma riceve un insegnamento morale, tornando a casa con una riflessione.
Lello riesce a toccare le corde più profonde dell’anima, riuscendo quasi a far ridere e piangere a comando il pubblico. Le musiche che accompagnano la scena, dall’inizio alla fine della rappresentazione, finanche durante l’intervallo tra il primo e il secondo atto, una sorta di cantilena sdolcinata, rappresentano un elemento integrante dell’opera.
Un legame che si crea tra attore e spettatore.
Il dialogare con il pubblico, lo scendere in platea degli attori è una scelta voluta dal regista che intende così coinvolgere maggiormente i presenti in sala e abolire la quarta parete, avvicinando i paganti alle vicende umane dei personaggi in scena. Accorgimenti scendici ed effetti speciali chiudono il quadro: sono elementi che caratterizzano lo stile del regista, Luciano Melchionna.
Le musiche sono degli Stag: non soltanto un sottofondo, un accompagnamento strumentale, ma un’altra voce narrante che va a toccare l’emotività ancor più della parola. Un po’ come nell’opera “Orfeo e Euridice” di Christoph Willibald Gluck, nella quale le furie, in particolar modo – che sono dissonanti dal resto del contesto – quando aprono le porte ad Orfeo diventano invece piene di armonia.
La scenografia è stata realizzata da Roberto Crea e nasce da un’intuizione del regista che ha pensato al tradizionale presepio napoletano all’interno di una campana di vetro. I costumi sono di Milla. La produzione è dell’Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Bon Voyage Produzioni e con il Festival Teatrale di Borgio Verezzi 2016.
Strepitoso il cast. I personaggi vivi e reali, con un buonasera iniziale si rivolgono direttamente al pubblico. L’intera vicenda appare svolgersi sotto gli occhi attenti del paese: in una mentalità piuttosto provinciale basata sul cosiddetto inciucio, lo sbirciare nelle case e nei “fattacci” degli altri. E’ come assistere ad uno spaccato familiare, a ciò che accade in una normale casa di un qualsiasi paese d’Italia.
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