venerdì 22 Novembre 2024
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Al teatro Bellini Marco D’Amore in scena con America Buffalo

American Buffalo, finalmente a Napoli, al teatro Bellini dal 14 al 19 novembre. American Buffalo è un classico americano del 1975 di David Mamet, premio Pulitzer arrivato al cinema vent’anni dopo con Dustin Hoffman protagonista.

di Emilia Ferrara

Ieri la prima, una sala gremita di persone.  Il testo che dalle periferie urbane americane arriva nel centro di Napoli rielaborato dallo scrittore Maurizio de Giovanni. La regia è a cura di Marco D’Amore, attore celebre agli occhi del pubblico televisivo per aver interpretato Ciro Di Marzio nella serie Gomorra. L’attore in scena è completamente irriconoscibile nel ruolo di “O’ professore” una persona completamente distrutta e imbruttita da una vita di stenti, da una invadente balbuzie, disadattato e ai limiti della psicosi, che gira con una finta pistola in tasca con cui vorrebbe sentirsi un predatore della strada. L’intera rappresentazione, della durata di 1h e 30 minuti senza intervallo, si svolge all’interno del negozio “A’ puteca” di Donato Russo, interpretato dal bravissimo Tonino Taiuti, detto Don (il “junk store” di Mamet) un personaggio troppo buono, rigattiere con una grande passione per tutto ciò che è americano, dagli slang, alla musica. Nella sua bottega zeppa di oggetti, messi ad arte, dalle bandiere a stelle e strisce fino a un gruppo di oggetti (palloni, biciclette e lampadari) appesi al soffitto. Protagonista della prima scena è proprio Don, che spegne la radio con ribrezzo appena si sentono le prime note di ‘O sole mio.

Don decide di organizzare un “colpo”, cioè di sottrarre un prezioso nichelino (l’American Buffalo del titolo) al collezionista al quale l’aveva venduto lui stesso, ignaro del suo reale valore. Non sarà solo nell’impresa: per una serie di vicende vi saranno coinvolti il giovane Robbi, interpretato da Vincenzo Nemolato, un tossico scapestrato e il protettodi Don, Sasà che non si vede mai, ma che è descritto da Don come “uno che ha le palle,  tene ‘a cazzimma” e ‘O professore, suo abituale compagno di poker.

Il testo, nella trasposizione partenopea, non perde il profumo americano, il realismo crudo di Mamet e la musicalità dello slang sapientemente utilizzato dallo scrittore statunitense – che nelle mani di de Giovanni che intelligentemente trasportano l’intera vicenda nella Napoli contemporanea diventa una lingua napoletana popolare e dalla potenza immaginifica – ma acquista il sapore umanissimo e squisitamente italiano dell’indagine sulle relazioni e sulle deformazioni della nostra società. I dialoghi sono decisi, duri, in certi momenti crudi, uno spaccato della società che fa divertire, ma anche riflettere su diverse tematiche relazionali.  È la storia di un fallimento, di un progetto perso già prima di iniziare. Un fallimento che non è solo legato alla possibile fortuna da dividersi, ma in ballo c’è il ruolo che ognuno ha agli occhi dell’altro. La precarietà del nostro tempo che fomentano le incertezze anche relazionali, e la possibilità di potersi giocarsi tutto, la vita e la morte con un colpo solo. Quanto vale? Questa è la domanda, pè tutt’ ‘e cose. Quanto vale?”. La battuta arriva all’improvviso, come una lama, tagliente e spiazzante, mentre cresce l’angoscia e l’ostilità comincia a diventare pericolosa. Don mette alla prova il suo protetto e l’altro, ‘O professore, li guarda in attesa di capire se il gioco volgerà a suo favore.

I tre attori sono riusciti a tenere alta l’attenzione del pubblico, dando vita ad altrettanti tipi umani con un linguaggio veloce, diretto e a volte esasperato.

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