NAPOLI. Il ruolo della letteratura e del giornalismo oggi, l’ambiente, il napoletano, ne abbiamo parlato con Patrizio Fiore, medico-scrittore.
Dice di lui Maurizio De Giovanni:
«Uno scrittore vero e imprevedibile:
serio e allegro, spietato ed empatico,
grave e leggero, enigmistico e sociale.
Bravo lui. E bella la storia che racconta»
Patrizio Fiore, medico napoletano con la passione del giornalismo sin da subito colpisce per la sua personalità eclettica e brillante, recentemente ha fatto parlare di sé nei salotti partenopei per il suo nuovo esordito da scrittore con un complesso ”Noir mediterraneo”: Il ricamo mortale.
Il titolo emblematico e l’icastica immagine di copertina raffigurante un vulcano che crea un reticolo di fumi, già preannunciano i temi che lo scrittore sta per narrare, drammatici e di grande attualità: dall’ esposizione all’amianto, all’ inquinamento atmosferico, ai prodotti alimentari adulterati. Questi, i principali e più pericolosi assassini della nostra era.
Nell’ambito della finzione letteraria, la sensibilità dello scrittore verso una materia così spaventosamente attuale beneficia della competenza in materia del medico e della curiosità del giornalista, ed ecco che il lettore viene accompagnato a riflettere sulla complessa realtà di Napoli, questa grande “Belisidora” che da secoli affascina per le sue idiosincrasie, la città dove il bene si somma al male e dove luci e tenebre coesistono.
Dottore partiamo dal titolo, vuole illustrarlo ai lettori de La provinciaonline che non hanno ancora letto il suo libro e che vorranno farlo?
Il ricamo mortale ha due sfumature: da un lato si rifà ad una delle protagoniste, la ragazza ventottenne che scopre purtroppo di avere un tumore molto particolare, il mesoterioma pleurico, tipico di coloro i quali sono esposti al lungo all’amianto e procuratosi durante il lavoro di ricamatrice in una vecchia carrozza ferroviaria con coibentazione in amianto, come purtroppo spesso accade nelle vicende di lavoro nero.
Dall’altro lato però il ricamo mortale richiama anche un personaggio che inizialmente è sfumato e poi che viene messo a fuoco nel corso della narrazione, il fantomatico Duca, il quale ordisce una truffa ai danni di persone meno abbienti: lo smercio di prodotti adulterati nei supermercati attraverso un particolare espediente per indirizzare gli alimenti nei discount.
Il fine del suo libro è un chiaro intento di denuncia sociale quindi? Quale ruolo ha letteratura oggi?
Si, è un giallo sociale proprio perché uso il genere del giallo per raccontare una storia verosimile ambientata a Napoli con alcuni di quei fattori sociali con i quali in un modo o in un altro siamo costretti a confrontarci in continuazione. Ad esempio il problema dello sfruttamento degli immigrati e la mancata tutela della loro salute, di amianto continuiamo a parlarne e sentirne parlare, le adulterazioni alimentari sono sotto i nostri occhi anche se, non prestiamo ad esse molta attenzione ma, quando ci va bene ci limitiamo a controllare la scadenza dei prodotti. Il giallo a mio avviso è oggi uno strumento molto utile per poter veicolare delle idee o poter accendere fari su alcune situazioni.
A proposito di denuncia sociale, lo definirebbe una sorta di “noir mediterraneo”? Quali sono i suoi modelli letterari?
Sicuramente Napoli rappresenta oggi una grande fucina di giallisti, tutti pensiamo immediatamente a Maurizio De Giovanni che è un maestro, Diana Lama, ma ce ne sono anche meno noti tanto che Napoli si può considerare oggi, dopo Milano, la seconda capitale italiana del giallo. Per quanto riguarda me invece, sicuramente Camilleri è un maestro come Sherlock Holmes o Simenon con il suo Maigret ; difatti senza per questo voler fare paragoni, alcune ambientazioni del mio romanzo sono napoletane però, ricordano quelle del Simenon casalingo ma attento ad alcuni quartieri della sua città francese.
In merito invece al tema dell’ambiente e della natura che stanno attraendo sempre maggiore attenzione anche nella letteratura contemporanea, da subito presenti nel suo romanzo sin dalla copertina, come lo affronta lei da giallista?
Noi usiamo sempre la famosa frase” la natura è madre e matrigna” ed è così in effetti, chi come noi vive in un territorio che ama profondamente e io mi considero tra questi, è abituato anche a tener conto di quelle che sono le difficoltà sia di natura logistica sia di natura più squisitamente territoriale, legata ai rischi con cui ci dobbiamo confrontare. Naturalmente parliamo del Vesuvio ma forse il nostro rischio principale è quello della sismicità puteolana. Ci siamo forse abituati non certamente rassegnati ed è un po’ anche la filosofia di molti dei personaggi cosiddetti minori di questo libro. Troverà tra le pagine il tassista il quale è innamorato di Napoli e non può perdonare ad esempio che tutte le palme di viale Augusto siano morte.
Riguardo al tema dello sfruttamento degli immigrati, della mistificazione alimentare, è evidente il suo approccio da medico e da un lato da giornalista, quanto c’è di autobiografico nei personaggi come medici e giornalisti che popolano il suo libro?
Ogni personaggio ha qualcosa di autobiografico. Io sono un medico di sanità pubblica e mi occupo di problemi come la sorveglianza alimentare, la sorveglianza su fattori nocivi inquinanti, da questo punto di vista c’è una trasposizione di queste mie conoscenze ed esperienze. Dall’ altro lato sono quasi 40 anni che svolgo l’attività di giornalista, soprattutto nel campo medico scientifico e quindi mi sono occupato di questi argomenti anche dal punto di vista divulgativo.
A proposito di De Giovanni, domanda indiscreta, quali sono i suoi rapporti con colui che è considerato tra gli scrittori napoletani più popolari del momento ?
Innanzitutto c’è un rapporto di tipo amicale. Ci conosciamo da quando avevo 18 -19 anni e lui ne aveva un paio in meno. Ci siamo conosciuti senza che avessimo comunicato l’un l’altro questa passione per la scrittura, quando poi negl’ anni l’amicizia è rimasta ho avuto modo di seguirlo leggendo i suoi prima libri e poi finalmente quando alla soglia dei sessantanni ho deciso di pubblicare questo mio romanzo, le dirò che mi è venuto quasi normale chiedergli un suo giudizio e soprattutto, qualche sua parola in quarta di copertina. Come al solito è stato un maestro di vita e mi ha voluto dedicate quelle parole le quali, oltre che gradevoli a leggersi, sono per me una medaglia. Questo libro per me ha due grandi medaglie, una è quella di Maurizio, l’altra è la copertina tratta da un’opera di Gennaro Regina che considero tra gli artisti attualmente più validi della napoletanità.
In merito all’ aspetto linguistico del suo romanzo, a cosa è dovuta la grande presenza dei dialoghi?
Il dialogo è una scelta, vale a dire dare molto spazio ai personaggi facendoli parlare anziché descrivendoli. Ovviamente molti di questi parlano come normalmente parlerebbero, il tassista parla nel suo misto di napoletano, lo stesso vale per il barista o per il ricoverato che si rivolge al medico mentre è in attesa di un trapianto di fegato.
E a quale modello si rifà per la scrittura in napoletano?
La scrittura in napoletano è stata per me una piacevole scoperta. Ho cominciato a scrivere il napoletano come lo pronunciavo, come lo sentivo, poi mi sono accorto invece che scrivere in napoletano è difficilissimo. Ho avuto anche qui la fortuna di incontrare persone come il professore Mendoza, un culture della lingua napoletana, o il professor Casolaro che ha tradotto Catullo in napoletano. Mi hanno offerto consigli e correzioni per gli errori che commettevo. Mi sono confrontato con loro, abbiamo optato ad esempio, per “pulzà” con l’accento invece dell’apostrofo, o la iota al posto della “i” in parole come “doje” . Ora, facendo tesoro anche di alcune letture mi sto un po’ “autonomizzando” oltre che attraverso il confronto con i cultori. Ed è per me è un vero piacere, perché i problemi linguistici a cui io non ero abituato, rispetto a quelli di sanità pubblica sono altrettanto importanti. Attualmente ho già in cantiere altre opere in cui questo rapporto con il napoletano è diventato molto più presente perché mi piace, perché il napoletano è una lingua.
A proposito del fatto che il napoletano sia una lingua, ci sono secondo lei espressioni che il napoletano potrebbe esportare all’ estero per la maggiore chiarezza e incisività rispetto all’ italiano?
Penso ad un termine come “mm’ ‘o vvec’ io”. Un modo di dire ad un persona “non ti preoccupare ci son io e sono in grado di darti la certezza e la serenità di cui hai bisogno”. Oppure ” ‘o friddo ‘n cuollo” per indicare qualcuno che sta tremando ma, che nel contempo indica anche lo stato di meraviglia. Ci sono espressioni che hanno nella loro sinteticità la capacità di rappresentare una situazione che altrimenti dovremo raccontare con tante parole.
Cosa ne pensa del ruolo del giornalismo oggi? Che tipo di giornalista è il suo personaggio Attico?
In questo sono un po’ nostalgico perché sono legato al vecchio modo di fare giornalismo di inchiesta, quando chi lo faceva veniva considerato “un uomo da marciapiedi”, nel senso che girava la città alla ricerca della notizia e della verifica delle notizia. Oggi molto spesso vediamo tanti giovani i quali, anche forse correttamente perché è stato loro insegnato così, cercano di apprendere tutto soltanto utilizzando il computer e quindi servendosi di fonti di II, III, IV mano; magari senza preoccuparsi di fare, quella Attico dice di aver fatto quando era giovane, la cosiddetta “messa a scalza”. Attico è un giornalista, un amante della sua città ma di quell’ amore razionale di chi conosce il bene e il male e che riesce sempre a mantenere una propria dignità intellettuale.
Il giornalista secondo me è per definizione curioso, colui che fa solo “cucina” è invece una pianta destinata morire, ma la curiosità dovrebbe essere uno stile di vita insito nelle persone in generale, non possiamo “ammoccarci tutto” dobbiamo essere in grado di avere una nostra autonomia di giudizio.
Quali sono le sue opere in cantiere?
Ne ho pronte altre tre. Due sono la continuazione del Ricamo mortale. Per me Attico è un personaggio seriale, ho fatto la scelta di non utilizzare per le indagini il “solito commissario” non in senso spregiativo, anzi perché ce ne sono di alcuni inarrivabili da Montalbano allo stesso Ricciardi ad altri ancora… Attorno ad Attico ho scritto altri due romanzi gialli. Ma, momento che molti mi hanno detto in maniera scherzosa: “ma quanto scrivi, non puoi scrivere un po’ di meno?” ho pensato di suddividerli in dieci piccoli gialli. Abbiamo i “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie e i miei saranno “Dieci piccoli indigeni”.
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