SOMMA VESUVIANA. Il Palio settembrino approda quest’anno tra mille emozioni alla sua 25° edizione e nell’occasione il mio più affettuoso augurio va a tutti quegli allegri giovani, ora adulti, che dal lontano 1991 si sono rimboccati le maniche e hanno sempre creduto nel valore e nel progetto della loro iniziativa con grande entusiasmo e spirito di unione.
Un successo incredibile, testimoniato nel tempo sia dai numerosi consensi di pubblico e di stampa sia dagli illustri messaggi provenienti dal Colle; un percorso spesso in solitario, talvolta difficile, ma sempre intrapreso con costanza e dedizione, che ha sfornato nel tempo un evento di qualità e non di quantità, di cui dobbiamo essere fieri.
Jubileum, canto d’inizio nell’accesa terra è il tema al centroquest’anno della manifestazione e prontamente il mio pensiero mi conduce al sostantivo latino cristiano jubileum (giubileo), in ebraico Jobel, che designava il corno di montone suonato per annunciare una solenne festa del popolo di Israele, maanche l’anno di Dio, l’anno dell’uomo, di comunione, di salvezza, di liberazione, di giustizia, di amore, di fiducia, di riconciliazione, di novità, di grazia, di carità, di speranza e soprattutto di esaltazione di gioia (Jubilum). Per questi motivi la parola Jubileum ben si adatta al pensiero dei nostri giovani, al loro forte desiderio di poter lasciare un messaggio chiaro e incisivo nei cuori di tutti e alla gioia di poter finalmente consegnare semi di speranza per la realizzazione di una terra e di una comunità migliore. Il legame che ci stringe alla nostra città è forte, è la forza dell’amore per una terra incantata, un meraviglioso territorio ricco di arte, storia e cultura. L’amore per la nostra terra è l’amore per la nostra gente, per le nostre tradizioni, per i nostri valori. La nostra terra merita di essere amata e non continuamente depredata e, a questo punto, ritengo opportuno rievocare la figura del poeta e avvocato Gino Auriemma (1900 -1960), che nelle sue liriche non cessa di inneggiare alla natura di questi luoghi in tutto il suo splendore: una terra non più “dei fuochi”, ma con la sua luce costantemente “accesa”, che la rischiara interiormente ed esteriormente.
Alessandro Masulli
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