domenica 24 Novembre 2024
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E il vento del Nord tentò di spazzar via Geolier. Quelle banali polemiche sanremesi che danno i nervi

Polverone di Sanremo, roba di tutti gli anni. A sollevarlo stavolta è il caso Geolier, alias Emanuele Palumbo da Secondigliano. Un nome un programma, un successo e un uomo da copertina se conteggiamo i fan e follower sui social. Non uno di quelli che forse ce la faranno, ma un ragazzo che ce l’ha già fatta. Un mito per tanti coetanei, e per la Napoli più popolare.
Un bersaglio per i detrattori spuntati come funghi dopo la sua brillante e piacevole kermesse sul palco dell’Ariston. Un importante traguardo Geò l’ha raggiunto, oltre il secondo posto in classifica finale. L’aver diviso l’Italia, spaccata in due come una mela. Fra i pro e i contro. Un dividendo molto amato da queste parti. Fra i detrattori annoveriamo, lo snobistico e chic (senza radical gli si darebbe troppo spessore culturale che non ha, ndr) pubblico del teatro sulla riviera, molti giornalisti, pennaiuoli e pennini italiani, e tanti ultras da telecomando e qualcuno da stadio. E se li metti gli uni contro gli altri, se sollevi schermaglie verbali e soprattutto scritte sei già andato molto in là, insomma sei uno figo assai. Uno forte. Che tira come cento carri di buoi. E Geolier lo è già.
Nonostante la valanga di improperi e critiche. E qui viene il bello, lui s’è portato a casa un successone. I contro, quelle alzate di spalle e fischi e buu del pubblico dell’Ariston, puzza sotto il naso di una intollerante borghesia nordista e nordaiuola, ma anche frecciate malefiche ed intolleranza da parte di una certa stampa.
Ed ora affiliamo la penna. Che la stampa italiana fosse una mezza tacca lo sapevamo da anni. Ma stavolta ha dato davvero il peggio di sé. Pennini e pennivendoli, guai di casa nostra. Una decina di anni fa una prestigiosa no profit statunitense, la fondazione Roosvelt, gestita dalla figlia di Franklin Delano, collocò il nostro timido e servile paese, appena all’ottantesimo posto al mondo per la libertà d’informazione, addirittura dopo lo Zimbawe dell’imbarazzante rais Mugabe. Roba da editti bulgari e noi lo fummo. E lo siamo tuttoggi.
Cotanti colleghi pennaioli si sono accaniti in gran parte compatti e solidali, tranne poche coerenti eccezioni, contro il rapper-scugnizzo di Secondigliano. Sommergendolo con una collezione inestimabile di luoghi comuni e frasi fatte su quelli di quaggiù. Uno che ruba, che magari ha la camorra dietro, un prodotto di Gomorra insomma, sponsorizzato dai furbetti che percepiscono il reddito standosene a casa a televotare il loro idolo, il Geo vestito con la tuta del Napoli. Precisazione doverosa: lo scugnizzo cantava in vernacolo napoletano, performance che le storiche regole sanremesi non avrebbero accettato ma che il conduttore Amadeus ha sdoganato. Per inciso: la musica italiana ascoltata in tutto il mondo è per lo più la napoletana, O’ Sole mio docet. Quindi che ben vengano al Festival della canzone italiana anche pezzi in dialetti locali.
Alla fine, dati alla mano Sanremo l’avrebbe vinta lui e non la Mango se fosse stato per il voto del pubblico. Ma i giornalisti, e chissà chi, hanno ribaltato le preferenze del pubblico. Un po’ come le elezioni d’Egitto di una decina d’anni fa, vinte dai Fratelli Musulmani ma poi Al Sisi si prese la scena e disse qui comando io. Ci si perdoni l’irriverenza storica e politica. Ma a Sanremo c’è stata puzza di ribaltone, di esproprio anti-proletario.
Su tutti s’è erto, come martire del sacro perbenismo, il direttore del quotidiano La Verità, Maurizio Belpietro. Un quotidiano fazioso come un ascaro mussoliniano, che tanto racconta ma di rado ne trova una vera. Sì proprio quello sgangherato brizzolato che tempo fa giurò di esser stato vittima di un fallito attentato, dopodichè gli inquirenti e fonti vicine a chi scrive, lo considerarono solo un vile tentativo di fuffa, inscenato per far parlare un po’ di sé. Discepolo del verbo berlusconiano, conservatore di circostanza, in todo Belpietro chiosa a destra e manca. Ebbene El Jefe de La Verità nel suo editoriale di ieri ha definito il video della canzone di Geolier come un peana sulla violenza sulle donne e il malaffare, quasi un inno al credo camorrista, da occultare assolutamente ai propri figli. Mai sgangherata affermazione di direttore fu più tragicomica di questa, eppure in Italia le sparan grosse. Nel video incriminato appare una pistola ma fa solo scena per pochi attimi, l’auto che sfreccia a tutta velocità la guida lei e non un lui sadico, anzi il reprobo si allaccia addirittura la cintura di sicurezza. Ed alla fine sullo schermo compare la lapidaria frase: l’amore è pace non tormento. Se questo è uno sponsor della malanapoli caro Belpietro se ne faccia una croce e tiri indietro la penna.
Allora la spariamo noi a colpi di revolver: le parole belpietrane sono state portate sin qui da quello che un tempo i piangina pulcinelliani chiamavano vento del nord e che noi per una volta diciamo sì, cribbio che esiste. Lo sentiamo soffiare. Stia zitto bauscia.
Geolier immacolato? Non diciamo questo. Ma il ragazzo ha talento, educazione, bon ton, maturità da esempio scolastico. Nelle interviste ha esternato ottimo eloquio, buone intenzioni professionali e sociali, vedute ampie e tanto altro di umile e positivo. Certo, vorremmo essere tranquillizzati che dietro una rapidissima e sfavillante ascesa al successo di un pargoletto di 22 anni ci fosse solo farina e bene del suo sacco e nessun potere occulto, dell’antistato a sponsorizzarlo. Ne saremmo lieti ma le granitiche certezze chissamai le avremo. Però proviamo a credere che sia tutto roseo come nelle fiabe.
Un inciampo, a nostro avviso, ha visto protagonista anche il celebre scrittore Maurizio De Giovanni, che a ragion veduta ha messo in discussione le qualità dei pennini nazionali (e ci siamo), ma il suo difendere a tutti i costi e senza quartiere tutto ciò che appartiene alla bella Napoli ci appare al tempo stesso un partito preso molto scontato e populista a prescindere da fatti e protagonisti.
Tutti vogliono apparire e sfruttare il momento per un flash di popolarità. Vorremmo solo cancellare quelle frasi bollite su Napoli ed i suoi indigeni e che di Geolier in quel di Sanremo rimanesse solo un ricordo indelebile e sincero, emozionante e vero come una finale di Super Bowl. Con un pizzico di sano romanticismo che ci rende più lieve la vita.

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Vincenzo Famiglietti
Vincenzo Famiglietti
Ha iniziato la carriera giornalistica a metà degli anni novanta presso il quotidiano sportivo, di breve vita, Sport in Campania, per poi approdare alle redazioni della Verità-Napoli più e successivamente del Corriere del Pallone. Negli anni più recenti ha collaborato per varie testate on line, scrivendo di sport, costume, politica interna ed estera, spettacolo e dei temi più disparati. Si reputa un giornalista completo, versatile nel trattare argomenti di vario genere. E’ spesso ospite come opinionista in molte trasmissioni sportive locali. Ama definirsi una “penna tagliente”, spesso anticonformista e in controtendenza, poco politically correct, sempre impegnato alla ricerca di verità scomode.

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