Stava effettuando una seduta della terapia di riabilitazione in acqua così come fa da cinque anni, ma ieri qualcosa è andato storto ed un bimbo di 9 anni ha rischiato di affogare. Ora Emanuele si trova ricoverato nell’ospedale Santobono di Napoli in prognosi riservata. Il piccolo, che vive con la sua famiglia a Sant’Anastasia, alle 13 di ieri era nella piscina della clinica di Santa Maria del Pozzo a Somma Vesuviana, con uno dei suoi due terapeuti stava effettuando una seduta di idrochinesiterapia quando, per ragioni ancora da accertare, ha cominciato a sbracciarsi, ad annaspare ed ingoiare acqua. Immediatamente soccorso dai terapeuti e dai medici della struttura è stato rianimato. Il piccolo per alcuni minuti era diventato cianotico, ma poi ha ripreso a respirare grazie proprio all’aiuto dei dipendenti della struttura sanitaria. Trasportato d’urgenza nell’ospedale “Santa Maria della Pietà” di Nola non vi è rimasto a lungo. I medici che lo hanno visitato al pronto soccorso si sono resi conto subito che le sue condizioni erano serie ed andavano trattate in un ospedale più attrezzato. Per il bimbo anastasiano è stato così predisposto il trasferito nel nosocomio napoletano, le sue condizioni sono stabili, ma preoccupanti. Un episodio che ha sconvolto l’intera struttura, rinomata in tutta la regione proprio per le terapie riabilitative che vengono eseguite al suo interno, innovative e altamente funzionali. A ricevere la stampa nel pomeriggio di ieri Patrizio De Gaetano, dipendente amministrativo: “Siamo tutti sconvolti, quello che è successo ci ha provato. Quello che posso dirvi con certezza è che al bimbo è stata offerta tutta l’assistenza indispensabile e necessaria. E’ stato soccorso e prontamente assistito. Spero che voi presto ci possiate portare una buona notizia”.
Nella sede della clinica sommese, di via Pomigliano, sono arrivati i carabinieri della locale Stazione, coadiuvati dai colleghi del nucleo operativo della Compagnia di Castello di Cisterna. Agli inquirenti il compito di accertare cosa sia accaduto in quei drammatici minuti in cui Emanuele ha rischiato di morire nel corso di una terapia che aveva fatto decine di altre volte e che dovrebbe aiutarlo a vivere meglio la sua condizione di disabilità, problemi motori e intellettivi che il bimbo ha fin dalla nascita. Una terapia che è bastata proprio sull’utilizzo dell’acqua a scopo riabilitativo, che utilizzata nel modo corretto e con le caratteristiche strutturali adeguate, rappresenta un ambiente ideale in cui recuperare il movimento. Il bambino la svolgeva da quando era piccolo, appena quattro anni, proprio nella piscina della clinica sommese. Una vasca di 16 metri, dove la profondità massima è 1,30 centimetri e l’acqua è tenuta costantemente a 33°. Insomma, un ambiente in cui vi sono tutte le condizioni per favorire i pazienti. Per capire come il bimbo abbia potuto bere tanta acqua da diventare cianotico i militari hanno ascoltato i terapisti, i medici, il direttore sanitario, i responsabili, insomma tutti quelli che potevano essere testimoni dell’episodio. Per ricostruire in questo modo quello che è accaduto e come siano potuti passare tanti minuti da permettere al bimbo di annegare in così poca acqua. Risposte che arriveranno dall’inchiesta in attesa che Emanuele torni a star bene.
Gabriella Bellini
DA METROPOLIS DEL 23 MARZO
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