E’ morto dopo un’agonia di 65 giorni, Gennaro Rea 83 anni, adesso i suoi figli vogliono chiarezza. Dopo la loro denuncia ieri mattina sono stati notificati due avvisi di garanzia a due medici di una clinica di Pomigliano d’Arco. Risultano iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo uno dei primari della clinica Melucci, Francesco Piemonte chirurgo di Pollena Trocchia e l’anestesista Pasquale Russo di Maddaloni (Caserta) per la morte di Rea deceduto l’altra notte dopo oltre due mesi di coma irreversibile nel quale era sprofondato in seguito di un arresto cardiaco avvenuto dopo la somministrazione dell’anestesia. L’uomo, che vive con la moglie a Somma Vesuviana, il 19 novembre doveva essere sottoposto sottoposto ad un intervento chirurgico al colon per la rimozione di un tumore, ma non è stato mai operato perché appena somministrategli l’anestesia ha avuto un arresto cardiaco. Il 24 novembre i figli dell’anziano, Franco e Rita presentarono una dettagliata denuncia ai carabinieri per far luce sul coma in cui era caduto il padre e la Procura ieri ha disposto l’autopsia che sarà effettuata oggi, disponendo anche le indagini nei confronti dei due medici e il sequestro delle cartelle cliniche nelle quali proprio i figli avevano trovato diverse anomalie e numerose cancellazioni. “Abbiamo parlato l’ultima volta con mio padre quella mattina del 19 novembre”, racconta Rita, “era tranquillo, gli esami di routine erano andati tutti bene niente faceva presagire problemi nel corso dell’operazione. Quella mattina alle 8,30 ha lasciato la stanza della clinica per andare in sala operatoria e da allora sono cominciate una serie di stranezze. Alle 10,30 qualcuno è venuto a cercare il cardiologo nella sua stanza, alle 11,15 un infermiere ha chiesto di mio padre, continuavamo a non capire per noi era sotto i ferri in quel momento, alle 12,30 ci hanno chiesto di scendere perché voleva parlarci l’anestesista. Ci ha detto che mio padre aveva avuto un arresto cardiaco, che però lo avevano ripreso e che respirava autonomamente bisognava attendere che si risvegliasse e lo hanno ricoverato in terapia intensiva. Ci avevano spiegato che se per le 15 non si risvegliava lo avrebbero trasferito in un centro neurologico. Passano le 15 e non succede nulla, alle 17 chiediamo notizie ma continuano a tergiversare, alle 20,30 ci dicono che possiamo andare a casa che stava tornando dall’ospedale di Nola, dove aveva fatto una Tac e che aveva cominciato a muovere un braccio, ci rincuoriamo e chiediamo di vederlo. Ci dicono che se ci saranno difficoltà lo trasferiranno. Alle 23,30 lasciamo la clinica e alle 24,30 ricevo una telefonata a casa dove mi avvisano che hanno dovuto trasferire mio padre alla rianimazione di Nola che dobbiamo stare tranquilli che potremo vederlo l’indomani perché a quell’ora non ci avrebbero fatto entrare”. Così accade, l’indomani alle 8 i figli e la moglie di Gennaro Rea sono al “Santa Maria della Pietà”, ma qui lo scenario cambia ed i medici con cui si rapportano i familiari dell’83enne raccontano una situazione molto più critica. Parlano di coma profondo e di “anossia cerebrale post arresto cardiaco”. Gli viene effettuato un elettroencefalogramma dove risultano danno al cervello. “Hanno omesso troppi dettagli”, spiega Franco Raia, “questo ci ha insospettito , il 24 novembre chiediamo di avere la cartella clinica di mio padre che ci viene consegnata soltanto il 2 gennaio con diverse cancellazioni e modifiche inerenti la terapia medica, il diario clinico e persino degli orari appaiono diversi. La cosa più strana il trasferimento di mio padre all’altro ospedale. Risulta in uscita dalla clinica alle 24,10 e risulta arrivare a Nola alle 2,20 tutto quel tempo per percorrere quel tragitto relativamente breve di notte e in ambulanza?”. Troppi dubbi su cui ora dovrà fare chiarezza la magistratura.
DA METROPOLIS DEL 25 GENNAIO

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