Tangenti fino a 150mila euro annui. Tre trance all’anno che partivano da 15mila euro per arrivare fino a 75 mila, ogni imprenditore era costretto a pagare il pizzo anche a tre clan differenti. A tanto avevano costretti quattro noti imprenditori dell’area nolana boss e gregari delle cosche camorristiche “Russo”, “Fabbrocino” e “Nino” a partire dal 1993 e fino al loro arrestato. Ieri mattina all’alba 14 arresti, 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguiti dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna (agli ordini del capitano Michele Meola). Tra i destinatari del provvedimento restrittivo (tutti già in carcere per altri motivi) emesso dal Gip del tribunale di Napoli, su richiesta dei pm della Direzione Distrettuale Antimafia, anche gli storici capoclan: Pasquale, Salvatore e Carmine Russo e Mario Fabbrocino, 56 anni detto “Maruzzo”, di San Gennaro Vesuviano considerato reggente della cosca omonimo, cugino e cognato dello storico boss, avendo “o gravunaro” sposato sua sorella. Sono stati raggiunti dall’ordinanza anche Mauro Mensorio 37 anni genero di Pasquale Russo marito di una delle sue figlie, Giacomo De Lucia, 37 anni di Ottaviano ritenuto uno degli elementi del gruppo che si occupava per i Russo direttamente delle riscossioni, Antonio Gallucci, 56 anni Giuseppe Iovino, 55 anni entrambi di Nola il primo esponente dei Russo con i quali è anche imparentato il secondo considerato luogotenente del clan, Alfonso Nino, 48 anni capo storico dell’omonima cosca, Salvatore Raimo, 40 anni commerciante di mobili di San Vitaliano l’unico non considerato organico al clan, ma che alle cosche ha fatto diversi piaceri, Gianfranco Tecchia 29 anni di San Giuseppe Vesuviano e poi i figli delle ex primule rosse nolane: Antonio Russo 31enne figlio di Pasquale e il fratello Michele di 37 anni, e l’altro Michele, 30 anni, erede di Salvatore. L’indagine, condotta da gennaio 2010 a maggio 2011, ha consentito di accertare, fra l’altro, proprio le estorsioni fatte a 4 noti imprenditori dell’area nolana, ai quali le cosche avevano imposto per anni il pagamento di enormi tangenti, l’assunzione di parenti o affiliati ai suddetti clan e l’esecuzione gratuita di opere infrastrutturali e la fornitura di calcestruzzo, per la realizzazione di immobili per gli affiliati al clan. “L’operato dei carabinieri del Gruppo di Castello di Cisterna che opportunamente non si e arrestato né con l’esecuzione delle ordinanza di custodia cautelare emesse nei confronti di numerosi gregari del sodalizio né con l’arresto degli stessi capi carismatici del clan”, scrivono in una nota Rosario Cantelmo, procuratore aggiunto della Dda di Napoli e Alessandro Pennasilico procuratore capo reggente di Napoli, “ha potuto far leva sul senso di liberazione provato dalla collettività per l’avvenuta cattura dei fratelli Russo per valorizzare i timidi contributi offerti precedentemente dalle vittime solo in forma confidenziale. Si é registrato, quindi, un rinnovato rapporto di fiducia con le Istituzioni e la volontà degli imprenditori di creare direttamente con l’autorità giudiziaria canali di comunicazione formale per denunciare quanto da loro in silenzio subito per circa un ventennio. Gli imprenditori hanno ricostruito la trama del giogo estorsivo al quale sono stati sottoposti nel corso degli anni ad opera degli esponenti dei gruppi criminali che hanno controllato mafiosamente il territorio”. Gli imprenditori presi di mira dalla cosca erano particolarmente noti, così come i loro eventuali guadagni, ecco allora che i tre gruppi criminali andavano a chiedere il pizzo a colpo sicuro. “Dovete pagare a chi comanda sul territorio”. Un territorio vasto appunto, che alla fine risultava governato da almeno tre famiglie. Inutile che gli imprenditori spiegassero di aver già versato la “rata” ad un’altra cosca, gli emissari replicavano che quella era dovuta per gli investimenti a Nola, ma appena gli affari si spostavano in un’altra area si doveva di nuovo pagare.

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