sabato 21 Settembre 2024
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Pollena Trocchia, al sindaco Pinto ed all’archeologo De Simone l'”Heritage Prize”

Un importante riconoscimento quello piovuto sul Comune di Pollena Trocchia che, insieme all’Apolline Project, questo mercoledì verrà premiato dall’European Association of Archaeologists nell’ambito del 17° convegno internazionale promosso da questa grande associazione europea.

L’Heritage Prize sarà dunque nelle mani del sindaco, Francesco Pinto, e del direttore del progetto, Girolamo Ferdinando De Simone, tra due soli giorni e nell’aria già si sente odore di novità e buoni propositi per il prossimo futuro. Riqualificazione del sito e delle aree limitrofe attraverso i proventi del condono edilizio relativi al danno ambientale, richiesta al Ministero per la concessione allo scavo e realizzazione di un nuovo centro studi a disposizione dell’Ateneo (che, attualmente, si appoggia allo storico palazzo Cappabianca): questi, in sintesi, i punti da cui intende ripartire il sindaco fin da subito. “L’assegnazione di questo prestigioso premio mi riempie di orgoglio – ha dichiarato il primo cittadino – ma costituisce anche uno stimolo a continuare in questa direzione per valorizzare e restituire quanto prima alla comunità lo splendido complesso romano di Masseria de Carolis”.

La storia del sito archeologico parte nel febbraio del 1988 quando, durante alcuni lavori edilizi, si tentò di distruggerlo (come testimoniano tracce della benna meccanica visibili sulle murature portate alla luce). L’intervento della Soprintendenza fu tempestivo ma non riuscì a tutelare l’area che si trasformò in breve tempo in una discarica abusiva di materiali edili. Solamente nel 2004, grazie all’interesse di un gruppo di archeologi interessati allo scavo, cominciò la bonifica dell’area. Quest’anno l’Apolline Project ha potuto contare sull’appoggio di 77 studenti provenienti da diverse Università, dal Suor’Orsola Benincasa (che ebbe la lungimiranza di puntare i riflettori sul versante settentrionale del Vesuvio) passando per la Federico II fino all’University of Oxford.

“Questo progetto è nato da un’idea semplice – ha dichiarato De Simone – che questa terra non ha passato, dal momento che la ricerca si è sempre svolta in altre zone. Per noi è importante raccontare la sua storia perché solo dalla scoperta del passato di può ricostruire uno spirito collettivo, necessario per migliorare non il futuro, ma il presente del territorio in cui viviamo”.

Un sito importantissimo anche dal punto di vista vulcanologico, come ha tenuto a precisare Claudio Scarpati, docente della Federico II. “E’ importante ricordare – ha infatti dichiarato – che le modalità di distruzione e seppellimento di quest’edificio romano nel corso di successive eruzioni vesuviane forniscono delle evidenze fondamentali allo studio dell’impatto delle eruzioni vulcaniche esplosive sulle aree perivulcaniche e quindi un contributo allo sviluppo di conoscenze e tecniche per la mitigazione della pericolosità vulcanica in un’area ad elevato rischio”.

“Con i crolli a Pompei ed una disastrosa situazione sul versante dei rifiuti – ha spiegato orgogliosamente De Simone, il giovane professore a capo dell’Apolline Project – ritengo che il premio che ci hanno conferito dipenda molto dalla capacità di bonificare un sito archeologico deturpato dai rifiuti e divenuto centro di una discarica abusiva, che viene ora restituito alla cittadina come motore culturale. Altri meriti sono stati la novità archeologica costituita dalla ricerca sul versante settentrionale del Vesuvio, ma anche la bontà della collaborazione fra Università ed enti locali come soluzione ai problemi di scavo, restauro, recupero ambientale, rapporto con la popolazione locale”. “La scoperta più importante di quest’anno – continua il direttore, sintetizzando le ultime novità – consiste nel rinvenimento di alcuni marchi di fabbrica sul pavimento degli ambienti termali, che ci hanno consentito di datare la costruzione a solo alcuni anni dopo l’eruzione di Pompei del 79 dopo Cristo, mentre finora si pensava – prosegue – che l’intero territorio vesuviano fosse rimasto disabitato per molte generazioni, almeno fino alla metà del II secolo, prima che gli antichi romani decidessero di tornare ad abitarci. Insomma, una scoperta davvero rivoluzionaria nel mondo dell’archeologia”.

Gennaro Addato

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