DA METROPOLIS DEL 7 GENNAIO
Somma Vesuviana. E’ una figura apicale del clan D’Avino , agiva con l’aggravante dell’appartenenza ad un sodalizio camorristico, imponeva il pizzo soprattutto agli imprenditori. E’ il profilo di Giovanni D’Avino 52 anni, di Somma Vesuviana, elemento di spicco della cosca sommese, noto soprattutto come o’ Bersagliere. I pm della Dda (Direzione Distrettuale Antimafia) di Napoli, hanno confermato le accuse e le prove che i carabinieri della stazione di Somma Vesuviana (guidati dal comandante il maresciallo Raimondo Semprevivo, e dal suo vice Alessandro Gambino) avevano trovato a dicembre nei confronti di D’Avino. Prove che hanno convinto anche il Gip del Tribunale di Napoli che ha emesso nei confronti dell’uomo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, proprio in cella è stato raggiunto dal nuovo dispositivo. D’Avino negli anni ’90 è stato condannato per associazione a delinquere di stampo camorristico, il clan al quale apparteneva, quello i cui capi erano i fratelli Fiore e Luigi, faceva riferimento alla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri.
Diversa, invece, la storia di quello che il 20 dicembre scorso fu arrestato insieme a lui perché considerato il suo “autista”. Per Gaetano Mauro, 54 anni, si procederà infatti a “piede libero”. Gli inquirenti sono stati in grado di accertare che D’Avino approfittando del vuoto criminale che si era creato in città dopo lo “sbandamento” del clan Sarno (che prima a Somma “gestiva” il racket a negozianti e imprenditori) aveva cercato di prenderne il posto. Proprio il periodo natalizio gli era sembrato quello più propizio per chiedere soldi agli imprenditori, in una di queste occasioni i militari erano riusciti a bloccarlo. A dicembre, le indagini precise e puntuali degli uomini dell’Arma (coordinate dalla Dda di Napoli e dalla Compagnia di Castello di Cisterna, diretta dal capitano Michele D’Agosto) avevano portato a scoprire D’Avino e Mauro in “azione”. I carabinieri li seguirono fin dentro gli uffici di un imprenditore sommese. Qui, senza l’ausilio di mezzi tecnici, ma confondendosi tra i presenti erano riusciti ad ascoltare la conversazione intercorsa tra il boss e la vittima della richiesta estorsiva. Sentirono D’Avino dire chiaramente: “Voi sapete che a Somma ci sono io e mi dovete dare qualcosa, sapete che questo è periodo di scadenza e dobbiamo pensare ai carcerati”. Appena il tempo di lasciare il luogo dell’estorsione e per lui e Mauro scattarono le manette. La perspicacia dei carabinieri ha portato a produrre prove che anche i magistrati hanno trovato incisive.
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