Dopo la terribile tragedia di Gragnano dove un ragazzo 13enne si è lanciato nel vuoto in seguito a minacce e istigazione da parte di altri ragazzi ecco l’intervista al psichiatra, psicoterapeuta e neuroscientista Massimo Lanzaro sul bullismo e cyberbullismo
C’è stata una terribile tragedia a Gragnano: un giovane di soli tredici anni a quanto pare spinto al suicidio da attacchi continui, violenti e gratuiti; un ragazzo vulnerabile che riceveva continui insulti online, e minacce anche telefoniche. Questa è la pista investigativa che la Procura di Torre Annunziata sta seguendo per la morte di Alessandro, precipitato dalla finestra di casa il primo settembre. Possono essere queste le estreme conseguenze del cyberbullismo?
Il mio pensiero va innanzitutto ai genitori. Purtroppo tra le conseguenze psicologiche legate al cyberbullismo vi sono ansia, depressione e, nei casi più estremi, come questo, addirittura il suicidio (la natura accidentale della caduta che era stata ipotizzata in un primo momento sembra essere stata esclusa). Le conseguenze negative, emotive e comportamentali continuano in modo significativo nel tempo creando problemi di salute mentale a lungo termine. Il mio pensiero va ai genitori, che stanno affrontando un shock dopo l’altro sorretti dall’affetto di amici e familiari. Dopo la notizia della caduta accidentale, quella del cyberbullismo.
Quali sono le cause del cyberbullismo?
Le cause alla base del fenomeno del bullismo sono plurime e riconducibili ad una serie di fattori individuali e di dinamiche di gruppo come per esempio il temperamento del bambino, i modelli familiari, gli stereotipi imposti dai mass media o l’educazione impartita dai genitori o da istituzioni scolastiche. Il cyberbullismo colpisce solitamente di più le ragazze: secondo la letteratura il 12,4% delle giovani ammette di esserne state vittima, contro il 10,4% dei ragazzi. A questo si somma la sofferenza provocata dai commenti a sfondo sessuale, subìti dal 32% delle ragazze, contro il 6,7% dei ragazzi. Per quanto riguarda invece l’età in cui si riscontra questo fenomeno, si hanno due diversi periodi. Il primo tra gli 8 ed i 14 anni di età, mentre il secondo tra i 14 ed i 18, ma negli ultimi anni si sono riscontrati fenomeni di bullismo anche tra i ragazzi di 11 anni e anche di meno.
Cosa possiamo fare per combattere questo fenomeno?
Innanzitutto la vittima diventa spesso nervoso e più irritabile del solito, e anche più introverso, specialmente al ritorno da scuola o dopo aver utilizzato i social network. Manifesta ansie e preoccupazioni apparentemente immotivate e non appropriate all’età, segnali che bisognerebbe cogliere. Spesso le vittime non parlano perché hanno paura che poi possano essere aggrediti o perché hanno fatto la spia. Sarebbe invece indispensabile riuscire ad accorgersi di questi cambiamenti e parlare con questi ragazzi, tenendo presente che non è facile perché sono di base fragili e intimiditi. Allora è utile rivolgersi al pediatra o ad un neuropsichiatra infatile (i colleghi che trattano le persone fino a 18 anni, mentre gli psichiatri si occupano dellutenza che va dai 18 ai 65 anni, dopodichè dovrebbe subentrare uno psicogeriatra: questa è una distinzione che spesso le persone ignorano).
Insomma si possono aiutare questi ragazzi ?
Certo. Anche i bulli vanno aiutati. Molto spesso sono motivati da una ragione profonda, come problemi a casa, oppure (spessissimo) sono stati a loro volta bullizzati o abusati o hanno altri problemi da affrontare, quindi possono provare rabbia o sentirsi vulnerabili. Non bisogna dimenticare che una mente traumatizzata è auto ed etero traumatizzante, ovvero ha dentro una grande sofferenza che non riesce ad esprimere se non con agiti contro gli altri. Studi longitudinali hanno dimostrato come i bulli moderati e soprattutto quelli stabili, che a 17 anni mostrano ancora alti e costanti livelli di comportamenti devianti, saranno a forte rischio di insorgenza di problemi socio-relazionali, dipendenza da sostanze, violenza nelle relazioni intime e disturbi psichiatrici.
Cosa fare praticamente?
Innanzittuo bisognerebbe implementare dei corsi di psicoeducazione nelle scuole in cui si condividano dei semplici messaggio: ad esempio che quando il bullo vuole provocarti, sarebbe meglio far finta di niente e allontanarsi, oppure ignorarlo nei suoi approcci online. Se vuole costringerti a fare ciò che non vuoi, rispondi “no” in maniera decisa. Se gli altri pensano che hai paura del bullo e stai scappando da lui, non preoccuparti. Ricordare che il bullo non può prendersela con te se non vuoi ascoltarlo. E incoraggiare i ragazzi a parlare: Alessandro non ha trovato la forza di parlarne ai genitori ai quali pure era legatissimo. Viviamo in una cultura in cui chiedere aiuto è un segno di debolezza, fin da piccoli, mentre ci dovrebbe essere uninversione di paradigma che andrebbe un po alla volta diffusa e inculcata specie nei più giovani: sono quelli veramente forti che hanno il coraggio di chiedere aiuto. Credo che questo sia davvero importante.
Altra cosa necessaria sarebbe educare la famiglia a più sane regole di comportamento, se è vero che ben l80% dei ragazzi riferisce di ricevere poche limitazioni sul tempo di utilizzo di pc e smartphone: la generazione dei genitori non ha conosciuto questa realtà e sembra ignorarne i rischi collaterali.
Esiste un legame tra gli eventi di guerra, la pandemia e il cyberbullismo?
C’è evidenza in letteratura che la pandemia di Covid-19 ha determinato laumento del tempo condiviso on-line per insegnanti e ragazzi, e con esso un aumento esponenziale degli episodi di cyberbullismo. Studi americani parlano addirittura di un incremento intorno al 70%. Gli episodi di denigrazione verso i docenti da parte dei giovani cyberbulli si sono moltiplicati, pur nella evidenza che bullismo e sua versione virtuale colpiscono sostanzialmente la stessa tipologia di vittime la quasi totalità dei ragazzi vessati attraverso gli smartphone lo sono anche in altri contesti del vivere quotidiano. Il motivo scatenante sembra essere la diversità, nelle sue diverse forme: laspetto estetico (anche una bellezza pronunciata, specie tra ragazze), il colore della pelle, ma anche la timidezza, il supposto orientamento sessuale, labbigliamento inusuale o la disabilità. I media poi a volte forniscono le notizie di eventi già così disastrosi, già pieni di pericoli, di odio e di sofferenza, in maniera allarmistica o sensazionalistica. Tutte queste cose complessivamente da un lato tendono ad aumentare la vulnerabilità, la fragilità e a diminuire la soglia di tolleranza a qualsiasi evento stressante delle vittime, e dallaltro ad abbassare la soglia degli agiti (una sorta di disinibizione negativa) da parte di chi attacca. Il dato allarmante è quello della diminuzione delletà di insorgenza del fenomeno, che ora è individuata nella prima classe delle scuole medie, e, come dicevo, quello della sostanziale mancanza di prevenzione, che andrebbe avviata a partire dagli ultimi anni delle scuole elementari, soprattutto di questi tempi.
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